È stata celebrata come una vittoria per Theresa May da molti media britannici. Le votazioni alla Camera dei Comuni del 29 gennaio, in effetti, hanno autorizzato la premier a rinegoziare l'accordo con l'Ue, escludendo un rinvio della Brexit. Ma giusto il tempo di scaricare l’adrenalina dopo aver superato l’ostacolo ed è giunta la doccia gelata di Jean Claude Juncker. Per il presidente della Commissione Europea l'accordo raggiunto con Theresa May resta "il solo e il migliore possibile", e non sarà rinegoziato.
A questo punto nessuno può dirsi certo su come finirà a meno di due mesi dall’uscita del Regno Unito dall’Ue. I mercati finanziari, invece, hanno inviato un messaggio: la sterlina scende, rivelando il timore che la vittoria per la premier britannica si trasformi in un disastro economico per la Gran Bretagna. A meno che Theresa May non riesca davvero a convincere Bruxelles a rimettere mano all’intesa faticosamente raggiunta dopo due anni di trattative. Per riuscirci ha 15 giorni a disposizione.
Il nodo cruciale è il "backstop", ovvero la misura in base alla quale tutto il paese resterebbe a tempo indeterminato nell'Unione doganale se non si trova un modo alternativo per tenere aperto il confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d'Irlanda, che diventerebbe la frontiera tra Gran Bretagna e Unione europea dopo la Brexit. Una questione evidentemente non soltanto “economica” in un’area martoriata per 30 anni dalla guerra civile prima degli ultimi venti di pace.
Accettando di rivedere l'intesa sulla questione irlandese, Theresa May ha cercato di andare incontro alle richieste di quella parte del partito conservatore che spinge per un’hard Brexit. La premier ha così guadagnato tempo, ma ciò non significa che sia vicina alla soluzione del rebus. Anzi le parole di Juncker rimettono per l’ennesima volta la palla al centro.