Rappresentano circa la metà della forza lavoro, ma la loro presenza nelle posizioni decisionali e di management è ancora molto limitata. È la situazione delle donne. C’è un “tetto di cristallo”, infatti, che impedisce le progressioni di carriera anche sul versante femminile. Per questo motivo in molti paesi europei sono state introdotte leggi che impongono il rispetto di quote di genere nei cda delle società.
Le misure si basano sull’ipotesi che un maggiore bilanciamento di genere nei cda possa determinare un cambiamento delle politiche aziendali e dei modelli di leadership, migliorando le condizioni complessive del lavoro di tutte le altre donne. La Norvegia è stata il primo paese a introdurre la rappresentanza minima del 40% del genere meno rappresentato nei cda, seguita da Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda, Italia, Germania e Olanda, che hanno approvato provvedimenti simili.
In Italia, nel 2011 è stata promulgata la legge 120 che ha imposto l’obbligo di quote di genere nei cda e nei collegi sindacali delle società quotate e a controllo pubblico. In particolare, il provvedimento prevede che sia inserito al primo rinnovo degli organi sociali, successivo all’entrata in vigore della legge, almeno un quinto dei membri del genere meno rappresentato. La norma, tuttavia, ha natura temporanea, ovvero si applica per tre mandati consecutivi e dal quarto cessa la sua validità. Resta il fatto che il numero di donne nei cda è quadruplicato (da 193 nel 2011 a 758 nel 2017). Non solo, le donne tendono a essere più istruite e più giovani degli uomini. Ma un recente studio ha rilevato il mancato effetto a cascata della maggiore rappresentanza femminile nei cda sulle altre donne non direttamente coinvolte dalla legge.
D’altronde, secondo l’ultimo Global Gender Gap Index del World Economic Forum, l’Italia si piazza solo all’ottantaduesimo posto. Il nostro è un paese con una bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, elevati differenziali salariali e una modesta presenza di donne nelle posizioni a elevato reddito, eppure l’introduzione delle quote di genere non ha avuto alcun effetto sulle altre lavoratrici.