A fine maggio oltre 400 milioni di cittadini europei, il più grande corpo elettorale al mondo dopo quello dell’India, si recheranno alle urne per eleggere 751 europarlamentari, partecipando a una consultazione che è probabilmente la più decisiva per il futuro dell’Europa dal 1979, anno in cui si sono tenute le prime elezioni per il parlamento europeo.
Eppure, il discorso sul futuro dell’Europa è stato in gran parte dirottato dagli euroscettici e segnato da un crescente populismo. Sventolando la bandiera del patriottismo, i populisti hanno promesso di difendere gli interessi della maggioranza contro le minoranze composte di immigrati e le élite distanti dalle persone comuni. Il nazionalismo è un veleno ideologico, ha dichiarato non molto tempo fa il Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. Questo veleno potrebbe mettere a rischio la salute della nostra democrazia, dal momento che il populismo non attacca soltanto le élite e i poteri consolidati, ma anche l’idea stessa di pluralismo politico.
Ecco perché i leader UE che si sono riuniti a Sibiu il 9 maggio (in occasione della Giornata dell’Europa) dovranno trovare in fretta una contromisura a pochi giorni dalle elezioni europee del 23-26 maggio. Non è certo chiudendo le frontiere, innalzando muri e scendendo dal treno in corsa della globalizzazione che potremo affrontare le trasformazioni economiche, sociali e ambientali che ci attendono dietro l’angolo.
L’Europa ha invece bisogno di un nuovo modello di crescita (qualitativamente diverso da quello corrente), capace di creare occupazione, socialmente inclusivo e sostenibile sotto il profilo ambientale. Sarà importante trovare gli investimenti necessari per lo sviluppo delle economie del XXI secolo e a mettere gli elettori europei di fronte alla scelta tra tornare all’epoca degli Stati nazione o plasmare il nuovo ordine globale puntando sull'Europa. Verso una “rEUnaissance”?