Un tempo la distinzione era tra destra e sinistra. Come suggerisce un articolo del "The Economist", le aree con solide tradizioni economiche cooperative e una forte presenza della classe operaia (Emilia Romagna in Italia; Ruhr in Germania) erano più vicine alla sinistra, mentre la destra dominava nelle roccaforti del centralismo politico (Castiglia in Spagna), nelle ricche zone di confine (Scania in Svezia) o nelle regioni con una forte identità (Baviera in Germania).
E, così, i luoghi dove si decideva tutto erano quelli dove le tendenze si mescolavano, come la Bassa Sassonia in Germania o l’Aragona in Spagna. Con la scomparsa dell’identità di classe, però, questa demarcazione sta svanendo.
Nelle analisi elettorali più recenti sono così emersi due nuovi sottogeneri. Da una parte, le aree postindustriali dove cresce la rabbia contro gli immigrati. Dall’altra, la ripresa dell’europeismo tra gli hipster metropolitani. Tuttavia sarebbe meglio guardare alle periferie, ovvero a quei luoghi che si trovano nel mezzo.
Il problema è che nella cultura continentale le periferie - dimenticate pure dai partiti - non hanno un ruolo centrale. Eppure è lì che stanno avvenendo i principali cambiamenti della politica europea.