I capi di Stato e di Governo dei Ventisette hanno dato il via libera alla concessione dello status di Paese candidato a Ucraina e Moldavia (ma l’adesione vera e propria richiederà anni), e a concedere la prospettiva europea alla Georgia.
Ma se per Kiev è stato un giorno storico, per i Balcani occidentali - parafrasando le parole dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell – “non è stata una bella giornata”, aggiungendo che “l'unanimità è un grande problema” nel prendere decisioni.
I leader di Serbia, Albania e Macedonia del Nord hanno deciso di partecipare dopo aver inizialmente minacciato un boicottaggio per il veto della Bulgaria al percorso di adesione della Macedonia del Nord all’Ue.
Le incongruenze europee sull’allargamento si ricompongono in parte alla luce di un aspetto essenziale: quella dei 27 è una decisione politica, che pertanto non risponde alle regole canoniche imposte dai trattati. Si tratta di un gesto motivato dall’esigenza di far capire alla Russia che l’Europa non intende accettare nessuno status quo determinato da un’aggressione militare. Una scelta che comporta delle conseguenze e delle responsabilità, come quella di governare un processo di allargamento che può rivelarsi difficile, anche ripensando l’organizzazione del continente e le sue procedure decisionali.
È per rispondere a questa complessità, che il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato l’idea di una comunità politica europea: una “piattaforma di collaborazione” che permetterebbe di associare paesi che non possono o non vogliono ancora aderire all’Ue.
Oltre al veto bulgaro c’è anche la questione Bosnia-Erzegovina. Secondo il compromesso raggiunto, Sarajevo dovrà attuare con urgenza la riforma della Costituzione e la riforma elettorale: a quel punto anche la Bosnia Erzegovina potrebbe ottenere lo status di paese candidato ad entrare nell’Ue.