Theresa May aveva appena annunciato - venerdì 6 luglio - che il governo avrebbe sostenuto una "soft-Brexit". Poi la doccia fredda, che potrebbe mandare in frantumi l'esecutivo britannico. Il ministro per l'uscita del Regno Unito dall'Ue, David Davis, nella notte tra domenica e lunedì ha rassegnato le dimissioni, che erano comunque nell’aria da tempo. Al suo posto Dominic Raab, pro-Brexit e ministro per la Casa.
Nella sua lettera al premier May, Davis ha spiegato che "l'attuale tendenza politica e tattica" fa "apparire sempre meno probabile" che il Regno Unito lasci l'unione doganale e il mercato unico. Nella migliore delle ipotesi il paese sarà in una posizione negoziale debole, secondo il ministro dimissionario. La stessa idea deve aver maturato il responsabile degli Esteri, l'ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che si è dimesso anche lui dall'incarico. E subito sostituito dal ministro della Sanità, quel Jeremy Hunt schierato per il Bremain durante il referendum, rimpiazzato a sua volta dal ministro della Cultura, Matt Hancock.
May si è detta dispiaciuta, ma non ha fatto nulla per trattenerli. Il governo ora è nel caos. Il deputato conservatore Peter Bone ha salutato le dimissioni come una "decisione risoluta e coraggiosa" e ha detto che "le proposte May non sono accettabili".
Il piano May prevede una zona di libero scambio per le merci e un accordo doganale agevolato. Qualcosa di molto simile al mercato comune, quindi indigeribile per i Tories, ma auspicato dalle imprese che nei giorni scorsi, una dopo l' altra, avevano annunciato di voler rivedere pesantemente i loro piani di investimento nel Regno Unito in caso di hard-Brexit.
Adesso sarà molto più dura per il governo continuare ad avere l'appoggio di tutto il partito conservatore, che è poi anche il partito di Theresa May. Per alcuni analisti politici la svolta di Davis dimostra la necessità di un secondo referendum.