Brexit, verso lo scenario più duro: divorzio senza accordo. Nel commercio si torna all'anno zero?

Nella stesso momento in cui Michel Barnier spiega di "prepararsi a qualunque soluzione sulla Brexit" - profilando il mancato accordo - Panasonic annuncia di trasferire la sede centrale da Londra ad Amsterdam

Brexit, verso lo scenario più duro: divorzio senza accordo

Un'altra multinazionale valutata 71 miliardi di dollari sta per comunicare di voler lasciare Londra a causa della Brexit. E nello stesso momento in cui il commissario europeo Michel Barnier comincia a spiegare che "dobbiamo essere pronti a tutte le opzioni sull’uscita dall’Ue", lasciando intendere che Bruxelles sta seriamente considerando la prospettiva di un mancato accordo, il gigante giapponese Panasonic dichiara che sposterà il suo quartier generale da Londra ad Amsterdam.

Il numero di persone coinvolte è modesto, 20 su uno staff londinese di 30. Ma la decisione potrebbe contagiare il folto gruppo di aziende nipponiche presenti in Gran Bretagna: sono 800 e occupano più di 100 mila persone. Il rischio, invece, diventa certezza nel caso di importanti società finanziarie, come Nomura, Sumitomo Mitsui e Daiwa, che hanno già dichiarato di essere in procinto di abbandonare la capitale inglese.

Quello di Panasonic, a dire il vero, non è un divorzio a tutti gli effetti. L'amministratore delegato per l’Europa, Laurent Abadie, ha candidamente spiegato che l’azienda potrebbe comunque considerare la sede inglese come “paradiso fiscale” qualora il governo decidesse di ridurre le imposte sugli utili aziendali.

La Gran Bretagna aveva “promesso” il taglio delle tasse per le imprese che avrebbero mantenuto la sede nel Regno Unito dopo la Brexit. Ma il paradosso è che le società sottoposte a bassissima tassazione nello stato dove operano - proprio per questo - potrebbero essere soggette ad un maggior carico fiscale in altri paesi.

Il che riporta alla Brexit. Entrambe le parti, Ue e Regno Unito, sembrano aver accettato lo scenario peggiore: nessun accordo. È vero quello che ha detto Theresa May, il no-deal "non sarebbe la fine del mondo" per il Regno Unito. E si dice pronta a gestire il post-Brexit. Sarebbe stato, tuttavia, meglio ridurre il danno con un accordo ragionevole.

La settimana scorsa il ministro britannico dell'Economia, Philip Hammond, aveva avvertito che un "no-deal" potrebbe costare al Regno Unito 80 miliardi di sterline, oltre a danneggiare la crescita a lungo termine. "Credo che stesse parlando di dati relativi a gennaio", ha provato senza riuscirci a minimizzare May. Lo humour inglese non funziona sempre.

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