Si è giocata quella che è sembrata l’ultima carta. In un solo giorno Theresa May ha visto in tre città (L’Aia, Berlino, Bruxelles) Angela Merkel, il primo ministro olandese Mark Rutte, il presidente del Consiglio dell'Ue Donald Tusk e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Ma tutti e quattro hanno ripetuto lo stesso concetto: l’accordo raggiunto non è modificabile.
Lo scoglio resta sempre lo stesso: il backstop, ossia il regime speciale per l’Irlanda del Nord, che rimarrebbe in una sorta di Mercato comune europeo (e il Regno Unito nell’Unione doganale) fino a quando non verrà trovata una soluzione a lungo termine. Il tutto per evitare il ritorno di un confine duro tra Belfast e la Repubblica d’Irlanda con il rischio di nuove tensioni. Ma il backstop è un punto fermo dell’Ue.
Ecco perché il tour europeo non si è rivelato utile per May. E che sarebbe stato un viaggio senza speranze lo si era capito sin dal mattino, quando una serie di dichiarazioni avevano azzerato le speranze del premier britannico. "Bene ricevere Theresa May ma non possiamo cambiare una posizione che ormai è stata assunta", ha detto il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
Ancora più esplicito è stato il leader dei liberali Guy Verhofstadt, coordinatore del gruppo sulla Brexit del Parlamento europeo: "Non lasceremo i nostri amici irlandesi ed è fuori discussione una rinegoziazione del backstop in Irlanda".
È la Francia, poi, a spegnere definitivamente le flebili speranze del capo del Governo britannico. "Siamo molto preoccupati per il posticipo del voto britannico sulla Brexit. Questo accordo è l'unico possibile ed abbiamo fatto molte concessioni per raggiungerlo. Dobbiamo essere pronti per una mancata intesa, perché non è improbabile. Noi siamo pronti", così il ministro francese per l'Europa, Nathalie Loiseau.