Il Parlamento ha votato a sorpresa (312 a 308) un emendamento che chiede al governo di escludere in ogni circostanza e in qualsiasi momento il no-deal, cioè l'uscita senza accordo di Londra dall'Unione Europea. Un segnale forte, ma non vincolante: il no-deal resta automatico il 29 marzo qualora non ci fosse un accordo o un'estensione della scadenza approvata dall'Ue, ha fatto notare la “dead woman walking” Theresa May.
Ma dopo la bocciatura del suo accordo il 12 marzo, la premier britannica ha subito il giorno dopo l'ennesima umiliazione: quando inaspettatamente alla Camera è passato l'emendamento – sostenuto persino da alcuni ministri del suo governo - che escludeva il no-deal. Insomma, un disastro totale.
May ha, poi, presentato in Parlamento una mozione per estendere la scadenza del 29 marzo con due possibilità: un rinvio breve (fino a giugno) e uno più lungo (forse di un anno). La sua tattica è quella di spaventare i conservatori euroscettici con uno slittamento che potrebbe persino cancellare la Brexit, trascinandoli dunque a votare il suo accordo in un nuovo voto prima del Consiglio europeo del 21 marzo. Un'impresa quasi impossibile e oggi (14 marzo) a Westminster, probabilmente, il Parlamento voterà per la sempre più scontata estensione della scadenza del 29 marzo.
Ma l'Ue l'accetterà? A Bruxelles hanno spiegato che per evitare il no-deal ci vuole un accordo. Ma quale? Quello May è stato più volte respinto, quello di Corbyn (pur gradito all’Ue) non ha i numeri. Quindi?