La politica della ‘tolleranza zero’ al Covid-19, perseguita con ostinazione in quasi tre anni di pandemia, si sta trasformando in un pericoloso boomerang per il governo cinese. Mentre il resto del mondo sembra essersi lasciato alle spalle la fase più dura della pandemia, la Cina si ritrova a fare i conti con gli effetti della politica ‘Zero Covid’, un rigido sistema fatto di restrizioni e lockdown che sta provocando malcontento e proteste inusuali. Mercoledì nel paese più popoloso al mondo (1,4 miliardi di persone) si sono registrati oltre 31mila casi e negli ultimi giorni è salito a 3 il numero dei decessi. Pur essendo numeri modesti, il conteggio ha rivelato la peggiore situazione da sei mesi a questa parte.
A preoccupare Pechino è la tenuta del sistema sanitario. In caso di una forte ondata pandemica in Cina oltre sei milioni di persone potrebbero avere bisogno di un ricovero in terapia intensiva e il sistema sanitario ha a disposizione solo un posto ogni 100mila abitanti. Le autorità temono che aprirsi a un mondo che di fatto convive con il virus causerebbe un’ondata di decessi che peraltro metterebbe in difficoltà il Partito.
I frequenti lockdown hanno consentito di tenere basso il numero di cinesi esposti al coronavirus: di conseguenza, solo una bassa percentuale della popolazione ha sviluppato livelli efficaci di anticorpi. Inoltre, i vaccini Sinova e Sinofarm non sembrano molto efficaci. Ma ciò nonostante Pechino non ha ancora approvato alcun vaccino prodotto all’estero. Come se non bastasse, la popolazione cinese non risulta adeguatamente vaccinata: ad oggi solo il 30% degli ultraottantenni ha fatto le tre dosi di vaccino richieste contro la variante Omicron.
Incapace di trovare una via d’uscita dall’utopico azzeramento dei contagi, il governo cinese ha imposto al paese restrizioni che, di fatto, rallentano l’economia e la crescita. Ma soprattutto le limitazioni stanno esaurendo la pazienza dei cittadini.
Le migliaia di persone scese a manifestare in questi ultimi giorni in varie città del Paese a costo di pesanti conseguenze hanno preso di mira per la prima volta direttamente il Partito comunista e il presidente Xi Jinping. Le mobilitazioni stanno trovando sponde in tutta la Cina come non accadeva dai tempi di Piazza Tienanmen. Shanghai e Pechino sono gli epicentri della protesta che ha ramificazioni anche in altre città, tra cui Nanchino, Qingdao, Chengdu e Wuhan, il famigerato capoluogo all’origine della crisi del nuovo coronavirus a gennaio 2020.
La popolazione è esausta, sfinita e frustrata per le continue restrizioni anti-virus che ripetono la solita ricetta: lockdown, test di massa, quarantene interminabili. Eppure Xi Jinping, appena riconfermato alla guida del Pcc con un inedito terzo mandato consecutivo, ha definito “poco costosa” la linea dello ‘Zero Covid’, nonostante le restrizioni abbiano affossato l’economia. I segnali in tal senso non mancano, Per la prima volta Apple ha cominciato a produrre i suoi iPhone anche in India, mentre Samsung ha trasferito l’attività in Vietnam.