Israele sta vivendo una delle crisi più gravi che abbia mai conosciuto (e non soltanto in chiave politica). Anche dopo l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin – scrive David Grossman su Repubblica -, i pericoli che il Paese correva erano meno tangibili. Ora la situazione è diversa.
Migliaia di israeliani, secondo i media 700 mila (in uno Stato che conta 9,2 mlilioni di abitanti; fonte: My Data Jungle), sono scesi in piazza in tutto il Paese in manifestazioni spontanee, per protestare contro la decisione del premier Benjamin Netanyahu di licenziare il suo ministro della Difesa, reo di aver chiesto una sospensione del controverso processo di riforma giudiziaria (che prevede in pratica l’assoggettamento del potere giudiziario a quello politico), su cui si sta spaccando il Paese.
La riforma - avviata mentre lo stesso premier è sotto processo per corruzione, frode e abuso di potere - mette a repentaglio, secondo i suoi detrattori, il carattere democratico dello Stato di Israele. La situazione è divenuta così insostenibile con il passare delle ore che, in serata, il premier israeliano ha annunciato che la riforma della giustizia è, al momento, sospesa. Dovrebbe essere approvata in estate.