Dopo oltre un mese di contestazioni, con i giovani in piazza a chiedere un ricambio di potere, alla fine le Forze armate d'Algeria hanno abbandonato l'anziano presidente Abdelaziz Bouteflika, ammettendo che non è in grado di governare e nemmeno di portare il Paese - ricco di risorse energetiche - alle elezioni.
A prendere pubblicamente posizione è stato il capo di Stato maggiore, Ahmed Gaid Salah: ha chiesto di applicare l'articolo 102 della Costituzione che prevede la possibilità di proporre al Parlamento di dichiarare l'infermità del presidente. Bouteflika è su una sedia a rotelle dal 2013 a causa di un ictus.
Intanto la mobilitazione degli algerini continua a crescere. All’inizio delle proteste non è sembrata esserci molta similitude con la primavera araba del 2011, che si poneva l’obiettivo di abbattere il “sistema”. Per gli algerini era sufficiente fermare il loro anziano presidente. O così hanno lasciato intendere.
Ma ora anche loro sembrano aspirare a un modello più democratico. E adesso che un qualche parallelo può essere rintracciato con le manifestazioni avvenute in Egitto e Tunisia, emerge anche un comune elemento critico: l’assenza di un leader. Ed è un’assenza che pesa e rende potenzialmente pericolose le proteste, che rischiano di rivelarsi ingovernabili. E, infine, dissolversi. Proprio come accaduto con la primavera araba.