Obiettivo 2030 raggiunto, almeno potenzialmente. Il parlamento egiziano ha approvato le modifiche costituzionali che potrebbero consentire al presidente Abdel Fattah al-Sisi di restare in carica per altri 11 anni. L’entrata in vigore della riforma è soggetta a un referendum, il cui esito positivo è comunque scontato.
L'elaborazione delle riforme ha portato a ridurre di quattro anni il prolungamento del mandato di Sisi previsto da prime bozze fino al 2034. Come emerge da un rapporto della Commissione legislativa, che sintetizza il senso delle modifiche costituzionali, un prolungamento del mandato presidenziale da quattro a sei anni viene applicato al "presidente attuale" conferendogli inoltre "il diritto di presentare una propria candidatura per un solo altro mandato". Dunque quello di Sisi, rieletto per la seconda volta l'anno scorso, scade nel 2022 ma la riforma lo prolunga al 2024 e poi al 2030 grazie a un'eventuale terza elezione per altri sei anni.
L’Egitto, così, vira ulteriormente verso l’autoritarismo. Al Sisi è un ex generale salito al potere nel 2013, quando il primo premier islamista eletto liberamente in Egitto, Mohamed Morsi, fu cacciato con un colpo di stato militare. Divenuto presidente nel 2014 e rieletto nel 2018 con un voto farsa (ottenne il 97% delle preferenze) in cui gli sfidanti sono stati arrestati o esclusi.
E, ora, la nuova svolta in un paese di 97 mln di abitanti e un'enorme potenziale economico utilizzato solo in parte. Il Pil nel 2017 è stato pari a 235 mld di dollari. Molto meno, ad esempio, rispetto ai 376 mld della Nigeria, ai 684 dell'Arabia Saudita, e ai 351 di Israele.
