Con altitudini che variano da meno di 500 metri a oltre 8.000, l'Himalaya ospita ecosistemi affascinanti ed eterogenei. È l’Eldorado non soltanto per escursionisti e alpinisti. Lo è soprattutto per gli asiatici, il cui futuro è indissolubilmente legato alla catena montuosa più alta del mondo e principale fonte di approvvigionamento per il sistema fluviale del continente. Tuttavia, una serie di progetti imprudenti sta mettendo a dura prova i fragili ecosistemi della regione, a tal punto che la crescente minaccia rischia di estendersi ben oltre l'Asia.
L'Himalaya svolge un ruolo decisivo nel condizionare il ciclo idrogeologico e il clima. E, attraverso i suoi 18.000 ghiacciai, contribuisce a moderare il riscaldamento globale: immagazzinano enormi quantità di acqua dolce e svolgono durante l’inverno una funzione insostituibile, ovvero fungono da dissipatore di calore più grande al mondo dopo l'Antartide. Ma il congelatore ha cominciato a raffreddare di meno. L'altopiano tibetano si sta riscaldando ad una velocità tripla rispetto a quella media della Terra. Si scioglie il ghiaccio, il tempo diventa più instabile e la biodiversità si riduce. Uno dei risultati è che cinque fiumi provenienti dal grande massiccio himalayano - lo Yangtze, l'Indo, il Mekong, il Salween e il Gange - sono tra i dieci grandi corsi d’acqua più minacciati del pianeta.
Dalla costruzione di dighe su larga scala allo sfruttamento smodato delle risorse naturali, fino a progetti ambiziosi come quello che mira a indurre la pioggia nelle zone più aride, l'attività umana è la causa di questi cambiamenti potenzialmente devastanti per gli ecosistemi dell'Himalaya. Andando alla ricerca delle specifiche motivazioni, sebbene nessuno dei paesi direttamente interessati stia attuando drastiche contromisure, uno in particolare appare più colpevole di altri: è la Cina, la seconda economia globale ha puntato sulla mastodonticità delle opere infrastrutturali per dimostrare la propria forza al mondo e ha reingegnerizzato i corsi d’acqua. La Terra ha, tuttavia, cominciato a restituire il conto, che in questo caso assume paradossalmente la forma e il colore della siccità in una regione piena d’acqua.
Eppure, quando nei mesi scorsi il presidente Xi Jinping, aveva parlato di un cambiamento radicale nel modello di sviluppo del pachiderma asiatico, preannunciando il passaggio dalla “quantità alla qualità”, sembrava essersi aperta una nuova fase.
Salvare l’Himalaya e guardare in modo meno feticista alla crescita economica, sarebbe un passo in avanti anche se la strada è lunga. Anche perché le esternalità negative prodotte dall’impressionante ritmo di sviluppo di Pechino sono numerose, a livello ambientale e sociale. Uno studio pubblicato sul sito di economisti VOX EU mette ora in evidenza che in Cina la riduzione del 20% dell’inquinamento atmosferico rispetto ai livelli attuali potrebbe generare un risparmio nella spesa sanitaria pari a 7,5 miliardi di euro l’anno. Molto di più rispetto a quanto speso dal governo nel 2013 (629 milioni) e 2014 (1,3 miliardi) per migliorare la qualità dell’aria.
Ma “the show must go on”. L'industria cinese dell’acqua minerale - la più grande al mondo - sta imbottigliando "premium water" proveniente dai ghiacciai himalayani già stressati, in particolare quelli dei versanti orientali, dove lo scioglimento è più evidente. Un’economia assetata e cieca che mette a rischio la biodiversità e compromette l’ecosistema, non soltanto in Asia. Quello che comincia a essere chiaro è che le implicazioni ambientali scavalcano il continente.
I giganteschi altopiani dell'Himalaya influenzano il sistema di circolazione atmosferica dell'emisfero settentrionale, che aiuta a trasportare l'aria calda dall'equatore verso i poli. In altre parole, il deterioramento della catena influirà probabilmente sui modelli climatici europei e nordamericani. Un’altra urgenza diventata ormai emergenza globale.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA