I bambini si divertono e giocano nel giardino di Uhuru - un parco nel centro della capitale del Kenya, Nairobi – ma sono ignari dei pericoli che corrono respirando l'aria che li circonda. È un’atmosfera carica di inquinanti tossici, che sono diventati una delle principali cause dello sviluppo di malattie respiratorie nel paese africano.
Il problema è serio e non riguarda soltanto il Kenya. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno nel corso del 2016 sono deceduti nel mondo 15.000 bambini sotto i cinque anni a causa di malattie respiratorie. A livello globale, l’agenzia ONU con sede a Ginevra stima che circa 7 milioni di persone muoiono ogni anno a causa dell'esposizione all'aria inquinata. E dei 4,2 milioni di malattie respiratorie croniche acquisite ogni anno, circa 3,3 milioni si verificano nei paesi a basso o medio reddito.
Non sorprende, dunque, che il fenomeno stia assumendo una dimensione rilevante in Africa. Secondo l’Environmental Compliance Institute di Nairobi, il settore dei trasporti sta diventando una delle principali fonti di inquinamento atmosferico nelle città africane, dove sono registrate concentrazioni sempre più elevate di particolato, ossido di idrogeno, idrocarburi e monossido di carbonio.
Qual è la causa? Parallelamente all’irrigidimento delle normative sulle emissioni inquinanti in Giappone, Unione Europea e Stati Uniti, aumenta il numero di auto in circolazione che, sebbene ancora funzionanti, non rispetta gli standard richiesti. L’effetto di tale gap ha attivato un flusso migratorio al contrario: la maggior parte di questi veicoli sono esportati in Africa. Un recente rapporto del Centro per la scienza e l'ambiente di Nuova Delhi punta il dito contro quattro paesi – Cina, Germania, Giappone e Stati Uniti – dai quali provengono il 29% di tutte le auto usate trasportate nel continente africano.
E la tendenza appare inesorabilmente destinata ad aumentare. L’esplosione demografica, insieme alla strutturale assenza di infrastrutture e trasporti pubblici, sta determinando il progressivo aumento della domanda di automobili tra gli africani. Così 25 paesi sono corsi ai ripari, fissando dei limiti all’importazione di veicoli usati. Ma l’applicazione della legge è blanda e i controlli sulle emissioni inefficaci. Altri stati, undici in totale, hanno optato per l’adozione degli standard Euro 4, imposti in Europa dal 2006, che prevedono un limite superiore di 50 ppm (parti per milione) di zolfo per le vetture diesel. Attualmente, nella maggior parte dei paesi africani i livelli sono compresi tra 2.500 e 10.000 ppm, mentre in Giappone e Unione Europea il tetto massimo è sceso a 10 ppm.
Se anche i limiti fossero più rigidi resterebbe comunque il problema. Infatti, il gasolio utilizzato è particolamente sporco e un carburante più pulito ha un maggiore costo di produzione, che al momento i governi africani non sembrano interessati a incentivare.
Nelle economie avanzate, invece, importanti passi in avanti sono stati compiuti: oltre ad aver elevato gli standard minimi, i test vengono ora effettuati su strada e la tecnologia ha consentito di ridurre ulteriormente l’impatto delle auto sull’ambiente. Resta il fatto che sarebbe auspicabile sostenere con più convinzione la mobilità “alternativa”, senza dimenticare che surriscaldare ulteriormente l’Africa, portando lì un esercito di vecchie auto inquinanti, non rappresenta una soluzione.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA