Sale la preoccupazione per le conseguenze all’intero ecosistema e per i danni che potrebbero durare per decenni o essere perenni, nell’area a Sud Est di Mauritius, un santuario di biodiversità, dopo l’incidente alla nave giapponese che si è incagliata il 25 luglio scorso nella barriera corallina perdendo carburante e si è poi spezzata in due.
Delle 4 mila tonnellate di carburante a bordo, 3.800 sarebbero state di tipo ‘pesante’ (heavy fuel-bunker) che si usa in navigazione e il resto diesel, per le manovre, che contiene più sostanze dannose e cancerogene.
Il problema - rileva Alessandro Giannì, responsabile delle campagne di Greenpeace Italia - è che “sul posto non ci sono attrezzature idonee per contenere la dispersione tanto che la popolazione locale è intervenuta con mezzi rudimentali”. Poi sono giunti aiuti più idonei da Francia e Giappone.
Sulla rotta dell’incidente - spiega Isabella Pratesi, direttore del programma di conservazione Wwf - “solo nel mese scorso sono passate oltre 2 mila navi con carburante che è tossico. Dell’incidente della petroliera Exxon Valdez del 1989 vediamo ancora danni in organismi marini.”
Poi Pratesi avverte: c’è il rischio di “un prossimo incidente che potrebbe verificarsi nel nostro Mediterraneo dove 1/4 del traffico è petrolifero. Dobbiamo dire basta agli idrocarburi e stabilire corridoi di transito e norme per una maggiore sicurezza”.