Il Parlamento europeo ha recentemente approvato la direttiva 2019/904 sulla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. La riforma contiene, tra l’altro, il bando di alcuni oggetti di plastica monouso: posate e piatti di plastica, cannucce, bastoncini cotonati, sacchetti di plastica e contenitori per alimenti in polistirolo espanso.
La decisione è stata accolta dai media con grande risalto. Ma siamo davvero sicuri di sapere cosa sia sostenibile e cosa no? È possibile definire un materiale amico o nemico dell’ambiente? Non dovremmo invece considerare il ciclo di vita di un prodotto, come viene disegnato, prodotto, consumato e smaltito?
Torniamo alla plastica. Nel 2016 nell’Ue sono stati prodotti oltre 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti. Di questi, la plastica rappresenta lo 0,7%, poco più di 17,5 milioni di tonnellate. Eppure, si moltiplicano le misure rivolte a questa categoria mentre poco si fa, per esempio, per migliorare gestione dei rifiuti definiti “minerari”, derivanti principalmente dal settore edilizia e costruzioni, una categoria che da sola costituisce in Europa il 70% del totale.
Qualsiasi iniziativa volta a ridurre l’inquinamento, nelle sue varie forme, è sicuramente da apprezzare. Sarebbe tuttavia necessario riflettere sulle priorità. Ciò non sgnifica che la plastica non sia un problema, soprattutto per il mare. Il 90% della plastica negli oceani proviene dai dieci fiumi più grandi al mondo, 8 in Asia e 2 in Africa.
Quanto al mar Mediterraneo, la spazzatura dominante è la plastica (63%), seguita da carta, cartone e mozziconi di sigaretta (22%), rifiuti sanitari (7%) e vetro (4%). Il dato più interessante, però, è che solamente il 13% arriva da lontano: la maggior parte dei rifiuti è abbandonata direttamente sulla spiaggia da bagnanti e turisti. E, dunque, forse non esistono materiali buoni o cattivi, piuttosto comportamenti giusti o sbagliati.