Quel disperato bisogno di sabbia

La Germania sta affrontando una crescente domanda di sabbia per l’industria. Ma i siti disponibili sono pochi e gli studi scientifici non hanno ancora chiarito l’impatto ambientale dell’attività estrattiva

Quel disperato bisogno di sabbia
Isola di Sylt

C’è un luogo amato dai tedeschi, dove è possibile nuotare, surfare, fare naturismo e incontrare il jetset della Germania. Ma una cosa è, invece, vietata: costruire un castello di sabbia. E si rischia un’ammenda fino a 1000 euro. È l’isola di Sylt.

L’editto draconiano ha un perché. Fare una buca sulla spiaggia per costruirci qualcosa espone la sabbia a una più facile dispersione. Ciò non ha nulla a che vedere con il modello di educazione teutonico. La Germania ha, più prosaicamente, carenza di rena.

Si tratta di un ingrediente vitale in tutto il mondo, che si presta a numerosi utilizzi: dalla produzione di dentifricio fino al silicio utilizzato negli elettrodomestici, oltrechè nell’edilizia. A tal punto da far diventare la sabbia la risorsa più utilizzata del Pianeta. Soltanto per le costruzioni edili ne sono state utilizzate nel 2017 circa 40 miliardi di tonnellate, come parte di un’industria che a livello globale vale 70 mld di dollari. E la Germania si posiziona tra i paesi con un fabbisogno maggiore: 4,6 tonnellate l’anno pro capite.

Proprio questo bisogno spasmodico ha fatto sì che oggi gli esperti, dopo aver discusso per anni di “picco del petrolio”, parlino ora anche di “peak sand”. Anche perché in Germania è sempre meno concreta la possibilità di avviare nuove aree per l’estrazione. Il caso della cava di ghiaia di Goggingen nel Baden-Wurrttmberg è emblematico. Le macchine sono pronte ad avviare la produzione, in quello che dovrebbe essere un sito per l’estrazione della sabbia all’avanguardia. Si attende l’autorizzazione per l’avvio dei lavori, ma il problema è che sono passati già dieci anni.

Ottenere un permesso può richiedere fino a trent’anni di pianificazione e 40 autorizzazioni in Germania. Le procedure sono rallentate dal fatto che l’85% dei siti potenzialmente adatti non possono essere presi in considerazione a causa di utilizzi concorrenti, che prendono la forma di strade, ferrovie, riserve naturali e, persino, città. A conti fatti, differentemente dall’immaginario collettivo, di sabbia ce n’è meno di quanto si possa pensare.

Il che ci riporta all’isola di Sylt. Il futuro approvviggionamento di rena per la Germania potrebbe trovarsi in fondo al mare al largo della costa settentrionale dello Schleswig-Holstein. Ma Sylt ha bisogno delle proprie spiagge per sopravvivere. Gli abitanti dell’isola già sollevano dal fondale marino 1 milione di metri cubi l’anno di sabbia per compensare ciò che viene spazzato via, principalmente, dal vento e dalle maree. Il motivo di tanta fatica è presto detto: lo scorso anno il turismo ha portato sull’isola, oltre a qualche secchiello e paletta di troppo, anche 661 milioni di euro. In un certo senso è come se un metro cubo si sabbia a Sylt valesse 661 euro. E all’improvviso anche il divieto di costruire castelli sulla spiaggia assume, forse, un senso maggiore.

Ma resta aperto un importante interrogativo: gli studi scientifici non hanno ancora chiarito quale sia l’impatto sull’ambiente dell’attività estrattiva. E non è un problema soltanto della Germania visto che tre quarti della popolazione mondiale vive in zone costiere e il 90% delle spiagge di tutto il mondo viene eroso a causa della domanda di sabbia.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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