Sono accusate a vario titolo di diversi reati, la maggior parte per “uso di documenti falsi” e “partecipazione all’importazione vietata di rifiuti pericolosi” le 23 persone indagate dalla procura tunisina di Sousse nell’ambito del caso dei rifiuti importati illegalmente dall’Italia. Dodici sono finite agli arresti a dicembre. Tra loro anche l’ex ministro dell’Ambiente e alti funzionari doganali del paese nordafricano.
L’indagine penale, avviata dopo la messa in onda di un servizio della tv privata El Hiwar Ettounsi sull’arrivo in Tunisia dall’Italia di 70 container con 120 tonnellate di rifiuti considerati non a norma e senza le necessarie autorizzazioni, e altre 200 tonnellate di rifiuti dello stesso tipo, in attesa di essere smistati nel porto di Sousse, si basa sul fatto che l’importazione sarebbe stata autorizzata per “scarti plastici per il riciclaggio industriale”, ma invece sarebbero stati riempiti con rifiuti domestici solidi urbani e pericolosi, di cui è vietata l’importazione dalla legge tunisina.
Il caso punta i riflettori sul torbido commercio globale di rifiuti, che è cresciuto nonostante le normative internazionali più severe volte a impedire ai paesi ricchi di scaricare i loro rifiuti pericolosi nei paesi più poveri.
I contenitori sono stati importati in due spedizioni dalla società tunisina Soreplast, che ha affermato di avere il permesso del governo locale di importare e riciclare scarti di plastica industriali ricevuti dall’azienda italiana Sviluppo Risorse Ambientali Srl, che raccoglie e tratta i rifiuti nella regione Campania. Secondo il contratto siglato, Soreplast avrebbe smaltito fino a 120.000 tonnellate di rifiuti a 48 euro per tonnellata, per un totale di oltre 5 milioni di euro. Poi, lo scorso 8 luglio, i funzionari tunisini avevano deciso di confiscare i container e rispedirli in Italia. Ma al momento sono ancora lì, in Tunisia.