La pandemia di coronavirus è entrata in una nuova fase: il Covid-19 continua a diffondersi, anche se a velocità diverse nei vari Paesi. In tale contesto, le piccole e medie imprese restano l’anello più debole dell’economia, “visto che spesso non hanno accesso ai finanziamenti e non possono facilmente ottenere prestiti per mantenere in vita l’attività con il rischio di fallimento che resta molto alto”. È l’allarme lanciato dal Fondo monetario internazionale che evidenzia come l’Italia – dove oltre il 90% delle aziende sono appunto Pmi - potrebbe essere il Paese più colpito su questo fronte.
“La nostra analisi su un campione di 17 Paesi - si legge nel dossier - suggerisce che i fallimenti delle Pmi potrebbero triplicare da una media del 4% prima della pandemia al 12% nel 2020 senza un adeguato sostegno politico”.
“L’aumento maggiore si verificherebbe in Italia, a causa del forte calo della domanda aggregata e dell'elevata quota di produzione nelle industrie ad alta intensità di contatto – spiega il dossier -. I settori dei servizi sono i più colpiti, con i tassi medi di fallimento nel Paese che aumentano di oltre 20 punti percentuali nei servizi amministrativi, nell’arte, nell’intrattenimento e tempo libero e nell’istruzione, mentre le attività essenziali, come l’agricoltura, l’acqua e i rifiuti, registrano solo piccoli aumenti nei tassi di fallimento”.
Secondo l’Fmi, inoltre, oltre 1/3 delle pmi in Canada, Corea, Regno Unito e Stati Uniti è preoccupato della propria redditività o prevede di chiudere definitivamente entro il prossimo anno.
I diffusi fallimenti – per l’Organizzazione con sede a Washington - potrebbero pesare sulla ripresa economica, a causa degli ingenti costi di riallocazione del lavoro e del capitale, e causare instabilità finanziaria.