Dopo il brusco crollo registrato nel secondo bimestre del 2020, la manifattura italiana mette il turbo e fa da traino alla ripresa dell’Europa, mentre in Francia e in Germania il pieno riassorbimento del pesante impatto indotto dalla crisi pandemica sembra ancora lontano. È questa la fotografia messa a punto dal Centro studi di Confindustria (CsC).
C’è, inoltre, una nuova tendenza sembra riguardare la manifattura nazionale. È l’aumento del cosiddetto “backshoring”, il rientro della produzione nel paese d’origine. Secondo il rapporto CsC, che ha indagato questo aspetto insieme al gruppo di ricerca RE4IT, tra le aziende che avevano in essere rapporti di fornitura estera, il 23% di quel 75% di aziende che aveva optato per la delocalizzazione, ha già avviato, negli ultimi cinque anni, processi totali o parziali di backshoring. E di questi, il 2% ha scelto un backshoring di fornitura completo.
Per quali motivi? Le risposte sono molto chiare: al primo posto figura la disponibilità di fornitori idonei in Italia, seguita dalla possibilità di abbattere i tempi di consegna e dall’aumento dei costi di fornitura dall’estero. Segno che l’esternalizzazione non ha comunque determinato la scomparsa di reti di fornitura nazionale e che le stesse sono comunque rimaste efficienti da un punto di vista operativo.