In Africa scorrono fiumi di acqua blu. Tra i grandi marchi coinvolti anche Benetton

Ecco come la ‘fast fashion’ inquina i fiumi del continente. Nel rapporto del Water Witness International i danni causati dalle fabbriche tessili delle industrie straniere. Convolti tra i principali marchi internazionali

In Africa scorrono fiumi blu. È il colore causato dai rifiuti tossici scaricati da alcune aziende che producono il tessuto denim per i jeans di imprese occidentali e non. L’’immagine è stata fotografata da un recente rapporto del Water Witness International (Wwi), che denuncia come la moda usa e getta occidentale e asiatica stia inquinando le risorse idriche del continente africano. La ‘fast fashion’ contribuisce all’inquinamento ambientale causato dall’industria tessile, la seconda più impattante al mondo, dopo il settore petrolifero, per consumo energetico e di risorse naturali: responsabile del 10% della contaminazione globale.

L’industria della moda da sola genera emissioni di anidride carbonica stimate in un miliardo e 200 milioni di tonnellate all’anno: più dell’intero traffico aereo mondiale. Per i nostri abiti a basso prezzo, la produzione utilizza enormi quantità di acqua, energia e risorse non rinnovabili. E, in tal contesto, l’Africa rappresenta la stella nascente della produzione tessile: incentivi fiscali, lavoratori sottopagati, assenza di norme di sicurezza, materiali scadenti e sistemi di lavorazione altamente inquinanti non controllati.

Wwi ha condotto lo studio su cinque Paesi africani: Etiopia, Lesotho, Madagascar, Tanzania e Mauritius. Tra i brand più noti coinvolti nell’indagine, H&M, Zara, Topshop, Primark, Benetton e Peacocks. Ma ci sono anche Adidas, Asos, Carrefour, Disney, Dockers, Esprit, Etam, G -Star, GAP, George (ASDA), Hanes, Hugo Boss, Levi’s, Mango, Marks and Spencer, Monsoon, Next, Otto, Reebok, Sears, Tesco, Tommy Hilfiger, e Walmart. Un’industria tessile che produce metalli potenzialmente tossici, coloranti, agenti sbiancanti e altri inquinanti con impatti cardiovascolari, respiratori, cancerogeni e neurotossici sulla salute umana. I campioni prelevati nella acque fluviali da Water Witness a valle delle fabbriche tessili evidenziano un pH di 12, elevato come nella candeggina, e livelli di Cromo VI, una sostanza chimica cancerogena, fino a 75 volte superiori al limite legale.

Dall’altro lato, le esportazioni africane di moda hanno generato entrate per 4,6 miliardi di dollari all’anno (è preso in esame il periodo prepandemico). Si stima che in Africa la produzione tessile e di abbigliamento occupi più di 50 milioni di persone. Un settore che in alcuni Paesi africani può generare fino al 60% delle entrate nazionali da esportazione e fino al 30% del Pil. Un’economia dai numeri importanti per la quale, tuttavia, l’Africa paga un prezzo altissimo, visto che le fabbriche scaricano quantità rilevanti di tossine e bloccano l’accesso all’acqua pulita per le comunità locali.

“Garantire un accesso sostenibile alle forniture idriche sicure è una priorità urgente — scrive Wwi —. L’accesso privilegiato da parte delle imprese costituisce una violazione diretta del diritto umano all’acqua.” La soluzione? I marchi globali comincino a fare un passo avanti e a essere trasparenti nelle loro catene di approvvigionamento.

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