Il 29 maggio tutti gli 8 mila negozi Starbucks degli Stati Uniti sono rimasti chiusi per quattro ore, per consentire agli oltre 175 mila dipendenti di seguire un corso contro i pregiudizi razziali. Si tratta di un progetto articolato per abbattere le barriere e il razzismo, una risposta forte dopo l’arresto di due neri in un locale Starbucks di Filadelfia che ha indignato l’opinione pubblica statunitense e mondiale.
L’amministratore delegato di Starbucks, Howard Schultz, è convinto che questo momento di riflessione possa servire a sensibilizzare sul problema: “Riteniamo che questa formazione porterà ad un livello molto più elevato di rispetto, dignità e sensibilità all’interno dei nostri negozi, per i nostri clienti e noi stessi”. I contenuti sono stati ideati con alcuni dei più importanti leader afroamericani tra cui Bryan Stevenson, fondatore e direttore esecutivo della Equal Justice Initiative.
Sono in molti, tuttavia, a credere che l’iniziativa di Starbucks sia soltanto un grande esercizio di pubbliche relazioni nel controllo dei danni: in realtà non si può negare che quello che ha fatto è molto diverso rispetto ad altre aziende in cui sono avvenuti episodi di discriminazione razziale, affrontando il problema di petto e senza equivoci. Senza minimizzare l’accaduto, deviare o negare la responsabilità.
Proprio per sottolineare il carattere non episodico dell’iniziativa, la formazione di quattro ore del 29 maggio sarà l’inizio di un percorso: questo training contro il razzismo interesserà in futuro tutti i nuovi assunti, che ogni anno in Nord America sono quasi 100 mila. Perché, come sottolinea Schultz: “I dipendenti devono lavorare in un’azienda di cui sono orgogliosi, i clienti supportare un’azienda di cui possono fidarsi”.