Il flop dei concorsoni pubblici. La PA non attrae talenti…

L’autocritica di Brunetta: “Con posti a tempo e salari bassi difficile attrarre competenze specialistiche”. Eppure con alcune ‘semplici’ mosse si potrebbe ripristinare un ordine di valori che sarebbe forse più corretto: lavorare per la PA dovrebbe essere un vanto, soprattutto perché si presta il proprio impegno al fine di assicurare un buon funzionamento dello Stato. A beneficio di tutti. E nell’interesse di tutti.

Il flop dei concorsoni pubblici. La PA non attrae talenti…

Numerosi errori nei quiz, prove sospese, posti non assegnati per mancanza di vincitori: la grande stagione dei concorsi pubblici, dopo dieci anni di blocco per i vincoli di bilancio e un anno e mezzo di rinvii dovuti alla pandemia, si apre tra difficoltà e ricorsi al Tar. Dalla selezione per il Mezzogiorno alle Dogane, è una falsa partenza per le assunzioni nella pubblica amministrazione.

L’autocritica di Renato Brunetta: “Con posti a tempo e salari bassi difficile attrarre competenze specialistiche”. E adesso, per dirla con il ministro della Pubblica amministrazione, la Funzione Pubblica ha avviato “un’ampia riflessione sull’attrattività della PA per figure di elevata specializzazione”.

Ma andiamo per gradi. In Italia c’è un problema di qualità del lavoro, il che riguarda sia il settore privato che quello pubblico (anche se sono necessari dei distinguo), e allo stesso tempo alcuni specifici problemi che riguardano specificatamente il settore pubblico.

Lavorare per la pubblica amministrazione dovrebbe essere un privilegio. In effetti nel nostro Paese molti lo intendono così il posto di lavoro nel settore pubblico. Ma non per una particolare empatia verso la ‘cosa pubblica’, quanto per la (quasi) certezza di non poter essere licenziati. E, a parte questo aspetto, sono in pochi a vantarsi di mettere a disposizione le proprie competenze per l’interesse di tutti. Il risultato è che le cosiddette menti migliori difficilmente si avvicinano al settore pubblico. Quindi cosa fare?

Innanzitutto, sarebbe necessario aumentare i salari (che al contrario sono nettamente inferiori a quelli erogati mediamente dal settore privato) soprattutto per le posizioni medio-basse. Altrettanto importante sarebbe parificare (anche nella sostanza e non solo nella forma prevista dalle norme) la disciplina del licenziamento a quello del settore privato.

Importante poi sarebbe responsabilizzare i dirigenti. Attualmente il sistema funziona spesso in questo modo: le competenze laddove presenti sono applicate nelle posizioni sbagliate (l’architetto che fa il contabile, ecc.) e i dipendenti valorosi sono soggetti a rilevanti carichi di lavoro, mentre i fannulloni (spesso forzosamente cooptati nella pubblica amministrazione senza averne alcun merito) sono perlopiù lasciati in un limbo (non gli viene chiesto alcunché dai dirigenti forse nel timore di subire qualche forma di conseguenza). Occorre invece che i dirigenti siano responsabili anche per coloro che non sono sufficientemente produttivi.

Non si tratta ovviamente di militarizzare la PA, semplicemente di metterci un po’ più di serietà e professionalità. Così come importante sarebbe aumentare le risorse (non solo per elevare le retribuzioni) materiali e immateriali destinate al settore pubblico, che al contrario sono state radicalmente tagliate.

Si potrebbe ripartire da queste poche semplici mosse per ripristinare un ordine di valori che sarebbe forse più corretto: lavorare per la PA dovrebbe essere un vanto, soprattutto perché si presta il proprio impegno al fine di assicurare un buon funzionamento dello Stato. A beneficio di tutti. E nell’interesse di tutti.

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