“Capita anche a me quello che sta capitando a tanti miei colleghi, cioè l’assenza cronica di personale. La ristorazione sta vivendo una crisi senza precedenti. Le prime domande che mi sento fare ai colloqui sono: ‘Posso avere il part time?’ e ‘Posso non lavorare la sera?’. Ma io non penso che chi mi chiede questo sia sfaticato, è che i ragazzi hanno proprio cambiato mentalità: fino a prima del Covid per loro era importante trovare un impiego, adesso è più importante avere tempo. Non sono disposti a lavorare fino a tarda notte o nei giorni di festa”.
Filippo La Mantia ha riaperto da un mese il suo ristorante al Mercato Centrale di Milano tra nuove difficoltà: “Il dramma è il personale di sala. Avrò fatto almeno 80 colloqui nelle ultime settimane, ma niente. Offriamo come livello base 22 mila euro lordi l’anno (1300-1400 euro netti al mese) per turni di 8 ore, soprattutto nella fascia 16-24, con straordinari pagati. Ma il fatto di dover essere impegnati fino a mezzanotte li fa scappare. Non ho soluzioni: in sala ultimamente ci sto io, però sul lungo periodo non so che fare”.
Lo chef e imprenditore vede due ordini di problemi: da un lato l’abbandono del settore da parte dei giovani, «un cambio epocale, come quando noi volevamo un Paese diverso negli anni Sessanta e Settanta: è una presa di coscienza quella di mettere al centro della propria vita il tempo, è la tendenza di questo momento storico. Come si può condannarla?”.
Il punto, ragiona lo chef, è che la pandemia è stata un’epifania per tutti: «Obbligandoci a fermarci ci ha fatto capire che prima vivevamo in un frullatore senza nemmeno rendercene conto”. A questa riflessione si aggancia il secondo problema: “Adesso vedo che i pochi che accettano il posto lo vivono come una routine: prendere il piatto, posare il piatto. Non c’è attenzione, cura per il dettaglio”.