“Dobbiamo andare avanti: è nell’interesse superiore della nazione”: lo ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron, parlando della riforma delle pensioni intervistato in diretta su TF1 e France 2 dal palazzo dell’Eliseo.
Sullo sfondo dell’intervento presidenziale, la discussa riforma previdenziale (che innalza l’età legale di pensionamento da 62 a 64 anni) “è all’esame della Corte Costituzionale, bisognerà attendere che si pronunci”, ha spiegato Macron aggiungendo che “non mi fa piacere fare la riforma, avrei preferito evitare, ma siccome è necessaria mi sono preso l’impegno di realizzarla”.
Ricorrendo all’articolo 49,3 della Costituzione per far passare la contestata riforma, Borne ha dato prova di “responsabilità”, ha detto ancora Macron, aggiungendo che “non abbiamo diritto allo stop o all’immobilismo”.
Al di la delle bontà o meno della riforma macroniana emergono alcuni punti centrali.
Primo: paragonare il sistema previdenziale francese con quello di altri paesi europei, specialmente quello previsto in Italia, non ha molto senso. La previdenza transalpina è ancora basata sul sistema a ripartizione (quello che è esistito anche nel nostro paese fino alla Riforma Dini del 1995 che ha decretato il passaggio al contributivo), prevede importi minimi e requisiti di accesso decisamente più generosi di quelli ad esempio italici.
Secondo: il tema della sostenibilità dei sistemi previdenziali si pone, e in particolare nei paesi più colpiti dall’inverno demografico e in quelli che prevedono un sistema a ripartizione. D’altronde, meno persone che lavorano e più pensionati è un disequilibrio destinato a peggiorare.
E qui arriviamo al nodo che prima o poi andrà risolto (in Francia così come altrove): l’invecchiamento è il risultato del combinato disposto di due fattori (meno nascite e aumento della speranza di vita), calmierati dalla componente migratoria (notoriamente giovane).
Ma l’aumento dell’età media è anche il risultato di una forzatura del normale ciclo biologico di una vita che nel mondo occidentale è complessivamente divenuta più qualitativa (principalmente più cure e più attenzione all’alimentazione, ai vizi e all’attività fisica): con questo si vuole evidenziare che, nonostante le ‘migliorie’, un anziano è pur sempre un anziano.
Andando avanti così ci ritroveremo costretti a immaginare un mondo tra 10-20 anni) in cui a 75-80 anni ancora si lavora. Più che un mondo ideale, un incubo. Che probabilmente non piace un granché ai manifestanti che in questi giorni sfilano sulle strade francesi. È pur vero che un’alternativa concreta all’orizzonte non si scorge.