Era il 2013: la bolla dei paesi emergenti era appena scoppiata. Il tasso di crescita indiano era sceso al livello più basso dell'ultimo decennio. La promessa dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) stava svanendo e l’India etichettata come una delle "fragile five".
Così il premier Narendra Modi decide di lanciare nel 2014 l’iniziativa “Make in India” con l’obiettivo di trasformare il paese in un “global design and manufacturing hub”. Ma oggi si capisce che a mancare è l’ingrediente base della ricetta: gli ingegneri sono pochi e poco formati.
Alla radice del problema c’è il proliferare di istituti di ingegneria di bassa qualità, che non riescono ad offrire diplomi spendibili sul mercato del lavoro e vedono diminuire progressivamente il numero di iscrizioni. Il risultato è che molti centri di istruzione e formazione stanno chiudendo i battenti.
Il paradosso è che nel 2003 il governo aveva stimato una crescita fuori controllo del numero di ingegneri. Il timore era che poi non sarebbero stati assorbiti dal mercato del lavoro. Quindici anni dopo l’evidenza chiarisce quanto fosse sbagliata quella valutazione. La crisi degli ingegneri in India è oggi lampante: numerosi studi hanno evidenziato il fatto che sono numericamente inferiori alla richiesta e caratterizzati da bassa occupabilità. Il danno e poi la beffa: un’analisi ha rilevato che gli studenti di ingegneria russi e cinesi sono migliori di quelli indiani. E la mancanza di un’istruzione di qualità è un ostacolo strutturale allo sviluppo, non soltanto economico.