Ernesto Galli Della Loggia ha recentemente riproposto la vecchia idea di separare i più abili dai meno abili: la classe differenziale, con studenti divisi in base alle abilità. Un’idea criticata da molti. Ma in pochi hanno messo a fuoco il rospo che si aggira nella scuola italiana di oggi. Ovvero i test INVALSI.
In Italia tutti gli studenti oggi, ricchi, poveri, migranti, svantaggiati e non, svolgono lo stesso identico test il cui esito li classifica con un livello da 1 a 5. Questo avviene, nell’arco dell’intero percorso scolastico, in 5 tappe: grado 2 (seconda primaria), grado 5 (quinta primaria) grado 8 (terza media) e infine grado 10 e 13 (secondo e quinto anno della scuola secondaria di II grado).
Quanto è inclusivo misurare tutti con uno stesso metro? Cosa ci aspettiamo che misurerà il termometro INVALSI per uno studente ad esempio svantaggiato o migrante, con un piano educativo individualizzato? I risultati dei test si traducono in maniera automatizzata e non controllabile, a fine ciclo, in certificazioni di competenza individuali.
Le certificazioni INVALSI diventano così parte del curriculum dello studente. Ma certificare tutti gli studenti in maniera standardizzata non è fare parti uguali tra disuguali? Ci sono tanti modi di differenziare, separare, segregare. Uno è quello tecnocratico che recentemente ha sperimentato l’INVALSI: assegnare l’etichetta di studente fragile allo studente che non raggiunge livelli ritenuti “sufficienti” o “adeguati” nei test.
Se si ritiene pacifico che le valutazioni dei test INVALSI definiscano la qualità dell’apprendimento degli studenti, tanto da poterne addirittura certificare le competenze, è chiaro che chi non possiede livelli di competenze adeguati possa essere ritenuto uno studente a rischio in termini di apprendimento.
Sarà dunque oggetto di interventi di tipo didattico differenziato, potenziato, mirato. Sarà quindi uno studente diverso dagli altri, in base agli esiti dello “screening di massa” INVALSI. Uno strumento che esiste anche se quasi nessuno ne parla.
(Abbiamo qui proposto i passaggi principali di un articolo pubblicato su Roars)