Secondo un sondaggio Gallup condotto tra il primo e il venti febbraio, gli statunitensi considerano l’immigrazione (gli ingressi continuano ad aumentare; sono stati circa 2,4 milioni dal confine sud nel 2023) il problema più rilevante del paese. Al secondo posto c’è il governo, e solo al terzo l’economia. La quota di persone che la pensano così è passata dal 20 al 28 per cento nel giro di un mese.
Inoltre, due terzi degli statunitensi sono convinti che l’economia nazionale sia in cattive condizioni, e in parecchi addossano la colpa agli immigrati; i dati dicono invece che gli Stati Uniti crescono come nessun altro paese occidentale e che buona parte del merito è proprio degli immigrati.
Secondo un’analisi dell’Economic policy institute basata sui dati del governo federale, l’immigrazione ha fatto crescere l’economia statunitense più di quanto ci si aspettasse, contribuendo a consolidare la ripresa dopo la pandemia. Circa il 50 per cento della straordinaria crescita recente del mercato del lavoro, tra gennaio 2023 e gennaio 2024, è stata generata da lavoratori nati all’estero.
Questa dinamica produce un effetto virtuoso che si farà sentire a lungo. Secondo le nuove stime dell’Ufficio di bilancio del Congresso (Cbo), nel prossimo decennio l’economia crescerà di 7.000 miliardi di dollari in più rispetto a quanto avrebbe fatto senza nuovi ingressi di immigrati.
In un colpo solo, due dogmi sono stati così cancellati: i nuovi arrivati non tolgono lavoro alla popolazione nativa e, almeno in questo caso, non fanno scendere i salari medi (circostanza invece possibile soprattutto nei casi di impiego di lavoro nero).
Nel 2023 il tasso di disoccupazione dei lavoratori nati negli Stati Uniti è stato in media del 3,6 per cento, il più basso mai registrato. E la percentuale di persone nate negli Stati Uniti, che hanno tra i 25 e i 54 anni e lavorano, è ai livelli più alti degli ultimi decenni. Il che ci riporta al valore aggiunto fornito dall’immigrazione.