Messaggio a Trump: se vuoi davvero rendere “grande l'America” e mantenere le fabbriche negli Stati Uniti prova a scommettere sui sindacati.
Il suggerimento potrebbe sembrare controintuitivo, e certamente guarda nella direzione opposta a quella scelta recentemente dagli Stati Uniti. Ma la realtà è che quando le rappresentanze dei lavoratori pesavano davvero, come è accaduto regolarmente negli Usa fino alla fine del XX secolo, le aziende manifatturiere ci pensavano più volte prima di decidere di delocalizzare in altri paesi.
Nel 1983 erano 17,7 i milioni di lavoratori iscritti ad un sindacato, corrispondenti al 20% degli occupati. L'anno scorso erano scesi a 14,8 milioni, che rappresentano solo il 10,7% di quei lavoratori.
Man mano che l'appartenenza sindacale diminuisce, la forza lavoro ha meno possibilità di influire nella gestione di un’impresa. Anche gli strumenti nelle mani dei lavoratori perdono appealing. È questo il caso dello sciopero: funziona quando il sindacato è abbastanza forte da incoraggiare i cittadini-utenti a sostenere gli scioperanti.
Vista la sua funzione "equilibratrice", un sindacato troppo debole non conviene neanche alle imprese, che sono invece interessate a mantenere stabile il più possibile sia l'economia domestica che quella globale. Forse con il tempo emergeranno nuove organizzazioni - eredi del vecchio movimento sindacale - e una delle loro priorità sarà probabilmente quella di convincere gli imprenditori a trasferire, o più probabilmente a far ritornare, le loro aziende negli Usa.
La voce di quoted
I sindacati hanno commesso alcuni errori, innegabili. In particolare, non hanno saputo rinnovarsi. Nel frattempo l’età media degli iscritti è salita, anche in seguito all’aumento della speranza di vita che allunga pure la durata delle tessere. Ma il sindacato non è soltanto questo, è molto di più. È quello strumento che ha consentito nell’Europa democratica di portare le condizioni contrattuali di operai e impiegati su livelli ben più elevati di quanto le imprese fossero disposte a riconoscere spontaneamente. E, soprattutto, ancora oggi firmano i contratti collettivi nazionali che, sebbene non siano più tanto di moda, hanno consentito al mercato del lavoro europeo di resistere alla “grande recessione”. Se la disoccupazione non è cresciuta nell’Ue a livelli insostenibili è anche grazie alla contrattazione collettiva.