Ecco i 20 centri italiani dove sono i rifiuti radioattivi. Il 30 per cento è nel Lazio

In attesa del deposito nazionale le scorie sono trattate in ex centrali, università, poli di ricerca e snodi di raccolta. Il 99 per cento del combustibile nucleare irraggiato proveniente dalle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia: inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato sottoposto a processo chimico per il recupero di nuovo combustibile nucleare fissile, farà presto rientro in Italia.

Ecco i 20 centri dove sono i rifiuti radioattivi

In attesa che venga scelto il luogo dove sarà realizzato il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sono diversi i centri in Italia che attualmente producono o detengono questo tipo di scorie e provvedono al loro trattamento e stoccaggio.

Significativi, per la loro numerosità sul territorio nazionale, sono i centri di medicina nucleare, fra cui gli ospedali. Queste strutture trattengono la maggior parte dei rifiuti radioattivi che producono fino al loro completo decadimento, per poi smaltirli come rifiuti convenzionali. La restante parte viene conferita agli operatori del sistema di raccolta e gestione dei rifiuti radioattivi sanitari e industriali, che provvedono al loro stoccaggio nei propri depositi temporanei in attesa, previo trattamento e condizionamento, del conferimento appunto al deposito nazionale.

Tra le principali strutture in cui si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi – destinati al deposito nazionale – in Italia oggi ci sono le quattro centrali nucleari in esercizio fino alla fine degli anni ’80 e ora in fase di smantellamento gestito da Sogin a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Si aggiungono quattro impianti del ciclo del combustibile in smantellamento, sempre in carico a Sogin insieme ad Enea: Eurex di Saluggia (Vercelli), Itrec di Rotondella (Matera), Ipu e Opec a Casaccia (Roma) e Fn di Bosco Marengo (Alessandria). E poi ancora: il reattore di ricerca a Ispra (Varese); sette centri di ricerca nucleare (Enea a Casaccia, Ccr di Ispra, deposito Avogadro a Saluggia, LivaNova sempre a Saluggia, il Centro energia e studi nucleari Enrico Fermi a Milano, l’Università di Pavia e l’Università di Palermo). Infine: i centri del servizio integrato di gestione dei rifiuti in esercizio (Nucleco a Casaccia, Campoverde a Milano, Protex a Forlì e Cemerad a Taranto, non più attivo). Venti centri che rappresentano oggi la geografia dei rifiuti radioattivi italiani.

Secondo gli ultimi dati pubblicati a dicembre dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) in Italia al 31 dicembre 2022 c’erano 31.159 metri cubi di rifiuti radioattivi. Rispetto al 2021 sono in discesa: 653 mc in meno. La riduzione è dovuta non alla minore produzione di rifiuti “civili” – medici e industriali – bensì alle attività di trattamento e condizionamento dei rifiuti radioattivi che hanno comportato una riduzione del volume.

La regione che detiene la quantità maggiore di rifiuti radioattivi è il Lazio, seguita da Lombardia, Piemonte, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. In numeri assoluti cresce la quantità in Lombardia, Piemonte, Basilicata, Campania e Toscana; diminuisce, al contrario, in Emilia Romagna e Lazio. Stabile la Puglia.

Il 99 per cento del combustibile nucleare irraggiato – cioè allontanato dal reattore nucleare dove è avvenuta la fissione – proveniente dalle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia: inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato sottoposto a processo chimico per il recupero di nuovo combustibile nucleare fissile, farà presto rientro in Italia come rifiuto radioattivo vetrificato di minore volume rispetto a quello di partenza.

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