Il programma del governo M5s-Pd rilancia lo stop a nuove concessioni di trivellazione per l’estrazione di idrocarburi. Ma abbiamo bisogno di nuove concessioni? L’Italia dispone di scarse risorse fossili. Il deficit rispetto ai consumi è particolarmente acuto per il petrolio: il nostro paese importa oltre il 90% del greggio che consuma, quota in leggera diminuzione visto che nel 1990 il valore era pari al 95%.
Dunque, spiegano Marzio Galeotti e Alessandro Lanza sul sito lavoce.info, la produzione nazionale di petrolio ha conosciuto un incremento assai modesto, passando da 4,7 Mton nel 1990 a 5,1 Mton nel 2018. Peggio è andata per il gas naturale, passato da 17,3 miliardi di metri cubi nel 1990 a 5,4 nel 2018.
L’assenza di produzione interna pesa sulla fattura energetica complessiva, che nel 2018 è stimata intorno ai 40 miliardi di euro, di cui circa metà attribuibile al petrolio importato. Allo stesso tempo, da dieci anni i consumi finali stagnano. Il petrolio subisce la concorrenza del gas naturale nel settore civile e quella della motorizzazione ibrida o elettrica. La quota di mercato del gas naturale si riduce invece a causa dell’incremento delle rinnovabili nel settore elettrico.
L’incentivo ad aumentare la produzione interna esiste, pertanto, solo in una logica di sostituzione rispetto alle importazioni. “Se il governo, al contrario, decidesse non solo di non favorire nuova produzione interna, ma addirittura di chiudere i pozzi, il risultato – in assenza di politiche diverse e più efficaci sul lato dell’efficienza energetica – potrebbe tradursi semplicemente in un incremento delle importazioni e quindi della nostra fattura energetica”, spiegano Galeotti e Lanza.