Gas, per l’Italia è una corsa contro il tempo

Il rischio è quello di un (prossimo) inverno al freddo. Ecco a quanto ammontano le riserve italiane di gas. Nel 2020 l'Italia ha estratto circa 4,5 miliardi di metri cubi dai giacimenti di gas sul territorio nazionale. Ma ne consumiamo circa 76 mld, di cui oltre il 40% arriva dalla Russia.

Gas, una corsa contro il tempo

Arrivare a primavera non sarà un problema per il nostro paese, mancano appena una ventina di giorni alla fine dell’inverno e le scorte italiane di gas sono ancora ad un livello soddisfacente, con gli stoccaggi di poco sotto il 40%. Il problema è il prossimo inverno. Senza le forniture di Gazprom che ci arrivano a Tarvisio via Austria, per noi sarebbe infatti un vero guaio affrontare la stagione più fredda dell’anno. Con le attuali scorte il paese può arrivare fino all’autunno.

Si apre dunque un cupo scenario. Cosa fare? Puntare tutto sulla produzione interna? Oppure diversificare le fonti di approvvigionamento? Intanto il governo ha messo le mani avanti: non solo riapertura delle centrali a carbone, evocata nei giorni scorsi dal premier Mario Draghi. Per tamponare gli effetti di un eventuale blocco o sostanziale riduzione delle forniture di gas russo per effetto della guerra in Ucraina, l’Italia starebbe pensando anche di aumentare l’estrazione del gas Made in Italy.

Il ministero della Transizione Ecologica vorrebbe mettere a frutto i giacimenti italiani, in particolare quelli del Canale di Sicilia. Nel 2020, in Italia sono stati estratti circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas nazionale a fronte di un consumo che si aggira attorno ai 76 miliardi.

In totale i giacimenti attivi nel nostro Paese sono circa 1.300. Considerando quelli effettivamente utilizzati, però, si scende a quota 500. Le riserve si dividono tra terrestri e marittime. Quelle che appartengono alla prima categoria si trovano soprattutto in Basilicata, mentre i giacimenti offshore si trovano nell’Adriatico settentrionale, davanti alle coste venete, romagnole e marchigiane.

Il potenziale è valutato attorno ai 350 miliardi di metri cubi, ma fino ad oggi l’Italia ha preferito approvvigionarsi attraverso le importazioni dall’estero per una ragione di convenienza economica. Insomma, il gas che arriva da altri paesi, costa meno rispetto a quello di casa nostra, più difficile da estrarre. Le variabili in gioco non sono poche: si va dai tempi di estrazione, alla mancanza di tecnologia adeguata, alle scelte di carattere ambientale, come quella di evitare la fratturazione idraulica per evitare possibili danni al territorio.

Ora, secondo gli esperti, quella di ricominciare ad estrarre di più è una delle strade da percorrere per affrancarsi dalla dipendenza dai produttori stranieri. Si parla di 2,2 miliardi di metri cubi in più, che dovrebbero arrivare per l'80% dai giacimenti siciliani e per la restante parte dai siti davanti alle coste marchigiane e romagnole e dai giacimenti nel Mari Ionio, all’altezza di Crotone.

Ma non può essere una soluzione immediata, ad esempio per far fronte alle conseguenze della crisi russo-ucraina. Per raddoppiare o triplicare la produzione, infatti, serve tempo e investimenti, sia nella tecnologia che nella logistica. A mancare, infatti, sono anche i siti di stoccaggio dove immagazzinare il surplus di gas proveniente dai giacimenti di casa nostra.

In tale scenario l’unica via possibile, nel breve periodo, appare diversificare le forniture estere, tenendo conto del fatto che il gas naturale importato dagli Stati Uniti è ben più costoso di quello russo. A parte gli Usa, le possibilità più concrete restano due: l’Algeria e il vituperato Tap (attraverso il gasdotto che arriva in Puglia la fornitura è raddoppiabile).

Saranno sufficienti? Il governo intanto pensa anche all’ipotesi austerity: “Utenti da sensibilizzare”.

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