Come impronta idrica, quella italiana è una delle più alte d’Europa. Se ne prelevano più di 33 miliardi di metri cubi, ma il 22% è perso. L’acqua è la risorsa naturale che più soffre problemi di gestione scorretta e uso eccessivo, oltre ad essere la più sensibile all’inquinamento.
A incrementare la sua vulnerabilità è la forte crescita di eventi climatici estremi – piogge molto intense e lunghi periodi di siccità – che causano danni ai territori, alle attività produttive, alla salute dei cittadini e agli ecosistemi.
In Italia ogni anno si consumano oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua: il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile.
Il prelievo di acqua supera però i 33 miliardi di metri cubi l’anno. Infatti, i consumi rappresentano poco meno del 78% dei prelievi a causa di un ammontare di perdite pari a circa il 22% del prelievo totale e di queste perdite il 17% si verificano nel settore agricolo e il 40% in quello civile.
Ma l’impatto sulla risorsa idrica del nostro Paese è molto più di quanto raccontato. Secondo i dati del Water footprint network, infatti, l’impronta idrica dell’Italia è stimata in circa 130 miliardi di metri cubi all’anno – una delle più alte d’Europa – di cui il 60% è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero. Numeri non più sostenibili.