Altro giro, altra corsa. La 28esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (cosiddetta Cop-28) si terrà tra qualche settimana negli Emirati Arabi Uniti, che (con appena circa 10 milioni di abitanti; fonte: My Data Jungle) sono il settimo produttore al mondo di petrolio e tra i principali esportatori.
Ma non è tutto qui. Gli Emirati puntano a incrementare la propria produzione nel prossimo decennio. Una dinamica simile è osservabile nella maggior parte dei paesi del Golfo: d’altronde Kuwait e Qatar non hanno ad oggi previsto alcun obiettivo climatico, Arabia Saudita e Bahrain hanno posticipato la neutralità climatica al 2060, mentre la strategia iraniana sull’esportazione di greggio resta correlata alle sanzioni internazionali.
Ora, quanto sta accadendo a Gaza, ci dovrebbe ricordare quanto sia importante accelerare sulla transizione energetica (quantomeno per garantire la propria sicurezza energetica e autonomia strategica).
I Paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, progettano come detto di aumentare la propria capacità di estrazione e raffinazione di greggio nel prossimo decennio di circa un decimo. L’obiettivo è sfruttare il più possibile le proprie riserve di petrolio – più della metà delle risorse globali – fin quando il greggio avrà mercato.
Lo stesso sta facendo il Qatar con il gas naturale: il Paese punta ad elevare la propria capacità di liquefazione ed esportazione di oltre il 60 per cento entro il 2027; e a finanziare in tal modo la propria via alla transizione energetica ed economica.
Ecco perché i Paesi che non vorranno o non riusciranno a liberarsi dalla dipendenza da petrolio e gas si ritroverebbero in un mercato degli idrocarburi ancor più oligopolistico di quanto non lo sia oggi. Secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nello scenario più ottimistico (che prevede emissioni nette zero entro il 2050) il Medio Oriente passerà dal produrre oggi il 25 per cento di petrolio e gas a livello globale al 40 per cento nel 2050, benché ovviamente su volumi inferiori.
Osservando l’export in termini relativi emergono dati ancora più rilevanti: la quota di mercato di Iran e Paesi del Golfo è infatti prevista lievitare fino al 65 per cento entro la metà del secolo.