A cinque anni dall’Accordo di Parigi sul clima, il supporto della finanza globale al settore del carbone ammonta a più di mille miliardi di dollari. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata oggi da Re:Common e altre Ong internazionali, la prima in assoluto che tenta di analizzare l’esposizione di banche commerciali e investitori nei confronti dell’industria del carbone. La ricerca, aggiornata a gennaio 2021, esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone presenti sulla Global Coal Exit List.
Parzialmente in controtendenza i dati sulla finanza italiana: l’esposizione al carbone dei principali attori quali UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019.
La posizione di avanguardia spetta a Unicredit che, di recente, ha deciso di adottare una politica che entro il 2028 dovrebbe progressivamente azzerare qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone.
Generali prosegue nel suo disinvestimento dall’industria carbonifera, sulla scia degli impegni presi nel 2018. Una fuoriuscita dal settore che procede tuttavia troppo a rilento, perché gli investimenti nel settore ammontano ancora a più di 200 milioni di dollari, di cui il 10% in ČEZ e PGE, società che stanno ostacolando la transizione energetica rispettivamente in Repubblica Ceca e Polonia.
Sorprendentemente, tra il 2019 e il 2020 Intesa Sanpaolo ha diminuito i prestiti al carbone di circa il 70%.
Il 17% degli oltre mille miliardi investiti è imputabile ai colossi statunitensi Vanguard e BlackRock e, tra azioni e bond, gli Stati Uniti pesano per più della metà degli investimenti globali, circa 602 miliardi di dollari.
Anche le banche commerciali non hanno fatto certo di meglio e nel biennio successivo all’Accordo di Parigi hanno erogato 315 miliardi di dollari all’industria del carbone. In prima fila tre istituti di credito giapponesi: Mizuho (22 mld), Sumitomo Mitsui (21 mld), Mistubishi UFJ (18 mld).