Dopo Hiroshima la minaccia resta ancora atomica. Altro che green

Anche se non vi è stata una guerra nucleare, ben 2.056 test nucleari hanno provocato una scia di malattie tumorali e danni incalcolabili all’ambiente. Il 22 gennaio scorso è entrato in vigore il ‘Trattato di proibizione delle armi nucleari’, firmato da 86 paesi e ratificato da 55. Ma il governo e le forze politiche non sembrano prendere in considerazione la possibilità che il nostro paese firmi e ratifichi il trattato. Eppure l’Italia è lo Stato della Nato che ospita il numero più alto delle circa 120 testate Usa B-61 schierate in Europa.

Dopo Hiroshima la minaccia resta ancora atomica. Altro che green

Il 6 agosto di 76 anni fa alle 8.15 del mattino la prima bomba atomica sul Giappone inceneriva all’istante la città di Hiroshima e 140 mila dei suoi abitanti, 3 giorni dopo la stessa sorte toccò a Nagasaki (un totale di più di 300 mila vittime, per le conseguenze successive). Poi ebbe inizio la ‘guerra fredda’ con la folle corsa agli armamenti, che portò gli arsenali nucleari di Usa e Urss verso il 1985 al numero di 70.000 testate.

Anche se non vi è stata una guerra nucleare, ben 2.056 test nucleari hanno provocato una scia di malattie tumorali (la scienziata Rosale Bertell valutò più di un miliardo di vittime dirette o indirette dell’Era nucleare) e danni incalcolabili all’ambiente, come confermano le richieste di risarcimenti dalle popolazioni vittime dei test nel Pacifico e nel Sahara. Senza contare i minatori delle miniere di uranio, appartenenti a popolazioni emarginate o povere, i quali hanno contratto un numero elevato di tumori ai polmoni.

Oggi di fronte all’aggravamento della crisi climatica, e con l’occasione della pioggia di miliardi per risollevarsi dalle conseguenze della pandemia, si invoca ovunque una radicale svolta green: ma se questa fosse la vera intenzione, non sarebbe il caso di eliminare dalla faccia della Terra la minaccia più grave che incombe sull’umanità, ovvero le armi nucleari?

L’occasione è a portata di mano. Il 22 gennaio di quest’anno è entrato in vigore il Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpan), che era stato approvato il 7 giugno 2017 al termine dei negoziati svoltisi alle Nazioni Unite, con la partecipazione dei rappresentanti della società civile della Campagna ‘International Campaign to Abolish Nuclear weapons’. Con 86 paesi che hanno firmato il Tpan e 55 che lo hanno ratificato, il divieto del possesso, l’uso, e la minaccia delle armi nucleari fa parte del diritto internazionale.

Questo è un tasto dolente anche per il nostro paese. Il governo e le principali forze politiche non sembrano prendere in considerazione la possibilità che l’Italia firmi e ratifichi il trattato. Eppure lo stivale è il paese della Nato che in base alla dottrina Usa della condivisione nucleare ospita il numero più alto delle circa 120 testate statunitensi B-61 schierate in Europa. Testate che sono in procinto di essere sostituite con le più moderne B-61-12.

Il momento è cruciale perché la minaccia di una guerra nucleare non solo non è tramontata, ma è resa sempre più grave dalle innovazioni tecnologiche.

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