Da una parte, le pressioni sulle compagnie petrolifere per ridurre le emissioni inquinanti che porteranno a un picco della produzione globale in tempi relativamente brevi. Dall’altra parte, la domanda di petrolio è in continua espansione tanto che ha già quasi raggiunto i livelli pre-pandemici e, l’anno prossimo, potrebbe stabilire un nuovo record in assoluto.
Secondo l’Opec, la domanda globale di petrolio continuerà a crescere almeno fino alla metà degli anni 2030 e raggiungerà i 108 milioni di barili al giorno, un livello al quale si stabilizzerà fino al 2045.
Il punto è che la transizione energetica e l’obiettivo di ridurre le emissioni non porteranno al raggiungimento del picco della domanda di petrolio nei tempi che i più ‘ottimisti’ avevano previsto. Perciò è probabile - secondo Morgan Stanley - che arriverà prima il picco dell’offerta rispetto a quello della domanda. Il che vuol dire che il mondo diventerà sempre più energivoro ma rischia di ritrovarsi senza petrolio e, soprattutto, senza altre fonti che possano colmare il gap tra domanda e offerta.
In questo caso, il divario tra domanda e offerta potrebbe portare a un aumento della volatilità sul mercato, con picchi dei prezzi del petrolio strutturalmente più alti.
D’altronde, non vogliamo usare il carbone, vogliamo usare sempre meno gas, vogliamo abbandonare il petrolio, non vogliamo il nucleare, ma vogliamo consumare sempre più energia. Stiamo andando verso un disastro energetico?
Eppure la soluzione c’è: investire ben più massicciamente di quanto fatto fino a ora sulle rinnovabili e, al contempo, rivedere i modelli di produzione e consumo.