Fino a neanche un decennio fa l’industria cinese era vista - e un po’ era davvero - un’enorme fabbrica di scopiazzature a basso costo di prodotti occidentali. Ora lo stereotipo è ampiamente superato e in molti settori la Cina è all’avanguardia tecnologica. L’annuncio che si legge ora sul Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del governo di Pechino, fa fare un ulteriore salto di qualità. Si entra nel tecno-pionerismo, anzi nell’astro-pionerismo mandarino.
C’è un istituto dal nome altisonante, “Chengdu Aerospace Science and Technology Microelectronics System Research Institute Co, Ltd” che ha decretato: stiamo per costruire e spedire nello spazio una mini-Luna fatta di specchi per riflettere la luce solare. E in pochissimo tempo, entro il 2020. “Per fare cosa?”, hanno chiesto al responsabile, Mr Wu. “Per illuminare una città di notte e farle risparmiare i costi dell’illuminazione notturna”. La città, in questione è appunto Chengdu, 15 milioni di abitanti, capoluogo della provincia dello Sichuan. Possibile che il costo di una Luna artificiale sia inferiore alla bolletta per i lampioni cittadini? È possibile: secondo i calcoli degli ingegneri cinesi, con la Luna-bis si risparmierebbero circa 170 milioni di dollari annui di costi energetici.
Molte le perplessità di questa operazione. Alcune le descrive lo stesso Quotidiano del Popolo. Siamo sicuri che “illuminare la notte”, anche se fa risparmiare, sia un bene? A parte il venire meno delle osservazioni astronomiche, le preoccupazioni maggiori riguardano i rischi da sovradosaggio del cosiddetto “inquinamento luminoso”. Il ciclo veglia-sonno sarebbe alterato, soprattutto negli animali, che non hanno tende o serrande dietro cui proteggersi. Ma i tecnici del progetto-Luna replicano: “anche se fino a otto volte più intenso di quello lunare, è pur sempre un bagliore crepuscolare, non luce diurna”.
Altri dubbi li instilla la BBC, che ha dedicato un approfondimento sul tema. La perplessità tecnica principale riguarda l’orbita del satellite artificiale, prevista a 500 km di distanza dalla Terra. Ma per concentrare la luce riflessa in modo fisso su un unico punto del pianeta, Chengdu, dovrebbe raggiungere una quota geostazionaria (a cui cioè il satellite ruota attorno alla Terra con identica velocità angolare) di 37 mila chilometri. In più, sostiene la BBC, siamo sicuri che questo progetto, così colossale, possa disporre di finanziamenti pubblici? Perché l’Istituto di Scienze Aerospaziali di Chengdu non è pubblico: e quel “Ltd” finale, in effetti, sta a testimoniare che si tratta di una società di capitali, privata.
C’è il rischio che si ripeta l’esito del vero primo esperimento di illuminazione para-lunare: “Znamya”. Era un progetto russo, messo in pratica – e in orbita - nel febbraio 1993: il satellite aveva una superficie riflettente di 20 metri quadrati e si appoggiava alla stazione spaziale Mir. Doveva illuminare una manciata di chilometri quadrati di Siberia. Funzionò, sì, ma per qualche giorno, poi la struttura si disintegrò al rientro a terra.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA