Il debito è il grande male. Ma neanche troppo. Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato a fine maggio uno studio tanto monumentale, quanto meritorio. Per la prima volta viene fotografato il debito sia pubblico sia privato di tutti i paesi, dal dopoguerra a oggi. E il primo dato che ne vien fuori assomiglia a un piccolo choc. Il debito globale ammonta al 225% del Pil mondiale. È il nuovo record che straccia il precedente, quel 213% toccato nel 2009.
Eppure, questa gigantesca zavorra non sembra affatto aver rallentato la crescita. Anzi, ora la crescita a livello generale, con le dovute eccezioni, è robusta e potrebbe essere stato in gran parte grazie all'aumento del debito che si è riusciti a uscire dalle secche della crisi post Lehman Brothers. Insomma un po' di debito è – se non sano - quanto meno necessario, soprattuto laddove interviene nelle aree a scarsa produttività (dove gli investimenti “rendono” poco) o nelle zone (i paesi emergenti) dove molto dell'aumento del reddito viene intercettato dalle classi già ricche, con bassa propensione a spendere il surplus.
L'Fmi, però, avverte: ora che la crescita è solida e diffusa si dovrebbe intervenire per mettere in cascina risorse per i tempi bui, che non tarderanno ad arrivare. E le risorse in questo caso sono il taglio del debito. Bisogna che le autorità di regolamentazione (i meccanismi di stabilità finanziaria dipendenti o autonomi rispetto alla Bce in Europa e alla Fed negli Usa) impediscano il ritorno dell'era del “credito facile” e chiedano alle banche accantonamenti maggiori.
E bisogna monitorare i due paesi più controcorrente in tal senso. Gli Usa, che – con Trump – vogliono abbattere le tasse e, quindi, gettito fiscale. E l'Italia, il cui nuovo governo ha come programma non solo il taglio delle tasse, ma anche l'erogazione di un generoso reddito minimo. Non vorremmo che gli ispettori del Fondo, che hanno appena lasciato Atene, ora atterrassero a Roma.