Oggi si chiude una lunga parentesi. La Commissione europea si accinge a riconoscere gli sforzi compiuti dalla Francia per riportare su un percorso più sostenibile i conti pubblici.
Bruxelles aveva aperto la procedura di infrazione il 27 aprile 2009, quando il Consiglio europeo aveva constatato l'esistenza di "un disavanzo eccessivo in Francia". L’anno precedente, il 2008, era stato toccato il fondo: deficit da 140 miliardi di euro, pari al 7,2% del Pil. Lontano, molto lontano, dall'obiettivo del 3% fissato dai trattati europei. Ci sono voluti nove anni per rendere gli indicatori di finanza pubblica presentabili.
Con un deficit del 2017 ridotto al 2,6% del PIL, la Francia è tornata al di sotto del 3%. Dovrebbe stabilizzarsi su quel livello anche nel 2018-2019, stima la Commissione nelle sue ultime previsioni pubblicate all'inizio di maggio. Il problema ora è continuare su un trend di recupero, tenendo a mente che la crescita non durerà per sempre. In più, il governo vorrebbe riuscire ad azzerare il deficit entro il 2022. Un obiettivo mai raggiunto dal 1974, che continua ad apparire lontano.
Per finanziare le sue priorità (aumento del budget militare, riduzione delle tasse), l'esecutivo ha promesso di trovare 60 miliardi di euro nel quinquennio. Senza specificare come. Il rischio è di dover compiere scelte drastiche.
La spesa sociale è entrata nel mirino. “Spiegare che ridurremo la spesa senza toccare l'assistenza sociale sarebbe incoerente, né equo e lucido nei confronti dei francesi", ha recentemente dichiarato Bruno Le Maire, il ministro dell’Economia. Ma la riduzione della spesa pubblica è un esercizio molto pericoloso. Come Macron sta imparando a sue spese con Sncf, la società ferroviaria.