Il rapporto deficit/Pil della seconda economia dell’Ue è salito a 5,6% quest’anno e per rispettare l’obiettivo di tornare a meno del 3% nel 2027, come promesso da Emmanuel Macron, bisognerebbe trovare 110 miliardi nei prossimi tre anni.
È il dibattito che infiamma la politica francese, sotto la vigilanza di Bruxelles e dei mercati finanziari. Il presidente della Corte dei conti, Pierre Moscovici, parla di “momento drammaticamente delicato” e invita a fare scelte coraggiose.
Il neo premier Barnier ha promesso di “non aumentare la pressione fiscale su tutti i francesi”, secondo lui “i più ricchi devono partecipare allo sforzo di solidarietà. Il controllo della spesa pubblica può essere fatto in particolare attraverso prelievi mirati sulle persone ricche o su alcune grandi imprese”. D’altronde, come lui stesso ha sottolineato, “la situazione è “molto grave”.
Il governo dovrà comunque riuscire a imporsi di fronte a un’Assemblea di deputati frammentata in tre blocchi: la sinistra, arrivata prima alle elezioni di luglio ma assente dall’esecutivo, il centrodestra macronista e l’estrema destra, in posizione di arbitro.
A complicare ci sono altri due elementi. Primo, gran parte del debito francese è emesso sui mercati internazionale, il che espone Parigi a maggiore incertezza. Secondo, c’è in ballo anche la riforma delle pensioni, che la sinistra e l’estrema destra vorrebbero in realtà abrogare.
Nel frattempo, la Francia ha dovuto chiedere a Bruxelles una proroga per presentare la traiettoria del deficit e anche per la Finanziaria il calendario parlamentare è strettissimo. La sinistra ha già detto che presenterà una mozione di sfiducia contro il governo a ottobre, ma non passerà se i deputati di Marine Le Pen non la votano.
La leader dell’estrema destra punta a “proteggere la classe media” da eventuali stangate fiscali. Di fatto, è lei che tiene in mano la flebile vita dell’esecutivo.