Introdotta nei primi anni ‘90 e abolita poi da Berlusconi, salvo poi rientrare dalla finestra con Prodi, l’imposta su successioni e donazioni rende poco al nostro Paese, 820 milioni nel 2018, una cifra “significativamente inferiore agli altri Paesi europei”.
Nella sua impostazione italiana, piuttosto "generosa" rispetto a quel che accade nelle principali economie a noi vicine, l’imposta colpisce tutte le eredità e donazioni tra i vivi in modo variabile a seconda del grado di parentela tra chi effettua e riceve il versamento e dell’entità dei beni che passano di mano.
Ma vediamo i numeri. In Francia, nel 2018, il gettito dell’imposta è stato pari a 14,3 miliardi di euro, cioè lo 0,61% del Pil (quasi tredici volte il gettito italiano in rapporto al tasso di crescita economica). A quota 0,20-0,25% del Pil troviamo la Germania (6,8 mld), il Regno Unito (5,9 mld) e la Spagna (2,7 mld), tutti paesi che riescono a incassare quasi 5 volte l’Italia (sempre in rapporto alle dimensioni dell’economia).
La ragione di questo raccolto ben più ricco si rintraccia nelle aliquote più alte e franchigie più basse.
Se si prende in considerazione un’eredità del valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio: in Italia è prevista la franchigia di 1 milione che è nel caso preso ad esempio sufficiente a evitare l’imposizione, mentre in Spagna ammonterebbe a 335 mila euro, in Francia a 270 mila, nel Regno Unito a 245 mila e in Germania a 115 mila.