Il segretario al Tesoro, Janet Yellen, ha avvertito nei giorni scorsi i leader politici del Congresso che gli Stati Uniti rischiano il default sul debito nazionale a ottobre se la Casa Bianca e il Congresso non aumenteranno il limite al debito. In una lettera inviata al portavoce della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi e ad altri leader del Congresso, Yellen ha spiegato che il Dipartimento del Tesoro sta per esaurire il contante.
“Una volta esaurita la liquidità disponibile, gli Stati Uniti non sarebbero in grado di soddisfare i propri obblighi per la prima volta nella nostra storia”, ha dichiarato Yellen, aggiungendo che ciò potrebbe “causare danni irreparabili all’economia degli Stati Uniti e ai mercati finanziari globali”.
Il debito pubblico degli Stati Uniti è salito alle stelle durante la pandemia quando Washington ha dato l’ok a un sensibile aumento della spesa pubblica per ridurre l’impatto economico negativo. Il rapporto debito/Pil viaggia al momento attorno al 125%, mentre il deficit pubblico è già salito al 18,6% del Pil, il livello più elevato dal 1945.
Il debito federale rimarrà gestibile nel prossimo futuro? Tutto dipende dalla crescita economica. Quando i tassi di interesse che lo stato paga sul proprio debito sono più bassi della crescita del Pil, nel medio termine ciò impedisce una crescita automatica e incontrollata del debito dovuta alla spesa per interessi (come è invece successo in passato all’Italia).
Infatti, la spirale debito-interessi-debito può essere evitata finché il tasso d’interesse nominale sul debito è inferiore al tasso di crescita nominale dell’economia: in questo caso l’aumento del gettito fiscale riveniente dalla maggior crescita riduce il deficit /Pil e di lì il rapporto debito/Pil. E questa è la situazione negli Stati Uniti oggi (e anche ad esempio della Germania).
C’è però il rischio maggiore dato da un’impennata duratura dell’inflazione che spinga i tassi di interesse ben sopra il tasso di crescita del Pil. Tuttavia la Fed a più riprese ha ribadito che l’impennata inflazionistica è temporanea e dovuta essenzialmente a una strozzatura dal lato dell’offerta (sia dell’offerta di lavoro che dell’offerta di materie prime e microchip). Nel medio periodo l’inflazione dovrebbe scendere di nuovo in basso per effetto di un aumento della produttività, come accaduto negli anni precedenti alla crisi da Covid-19 del 2020. E i mercati sembrano credere alle analisi della Fed.
La posizione relativa degli Usa è rafforzata, oltre che dalla tempestiva manovra della Fed, anche dallo status del dollaro come valuta di riserva, che crea una significativa domanda dei titoli di Stato: la domanda di dollari come valuta rifugio comporta anche domanda di Treasury e quindi contribuisce a mantenere i prezzi dei titoli alti e i rendimenti bassi.
Le vere crisi del debito nascono quando gli investitori non sono più disposti ad acquistare i titoli di Stato di un Paese, cioè quando vedono che scarse prospettive di crescita economica, un mancato efficientamento della spesa pubblica, difficoltà di razionalizzare le entrate fiscali e l’instabilità politica non permettono di sperare positivamente nel risanamento duraturo delle finanze pubbliche. Non sembra questo il caso degli Stati Uniti. Quantomeno per ora.