
Il deficit federale statunitense è tale da creare un fabbisogno di dimensioni eccessive non solo per gli Stati Uniti, ma per il mondo. Secondo i dati della Federal Reserve di St Louis, il disavanzo del governo nel 2024 è al 6,3% del Pil e il debito al 120,7%.
Ma Washington può contare su un Pil di oltre 29 mila miliardi di dollari (nel 2024), che pesa per il 27% di un Pil globale da circa 109 mila miliardi.
In ogni caso, il fabbisogno di finanziamento del deficit e dunque i titoli in più che ogni anno il Tesoro di Washington deve piazzare a investitori pubblici e privati, sono pari a 1.958 miliardi di dollari solo nel 2024, ovvero l’1,8% del Pil mondiale.
E quelle sono solo le nuove emissioni nette, che si sommano ai 40 mila miliardi di dollari di debito (poco meno di metà del Pil di tutto il mondo) già presenti nei portafogli di privati, fondi, banche e banche centrali del pianeta e da rinnovare in parte ogni anno.
Quei duemila miliardi l’anno in più, che il Tesoro statunitense deve attrarre da nuovi investitori ogni anno, si sommano a loro volta ai piani di tagli alle tasse voluti da Trump destinati a costare altre centinaia di miliardi l’anno.
Ma è credibile che la Cina continui a finanziare il nuovo e crescente deficit pubblico del suo grande rivale (Pechino detiene titoli Usa già per quasi 800 miliardi)?
È possibile che lo faccia il Giappone (detiene già almeno 1.100 miliardi di debito Usa) quando ha ben altre priorità interne?
È plausibile che lo faccia l’Eurozona, rischiando di subire i costi di una probabile svalutazione futura del dollaro proprio a causa degli squilibri Usa?
Probabilmente, nessuna delle grandi banche centrali del pianeta in questa fase sarà propensa a incrementare di molto la propria esposizione netta verso il debito degli Stati Uniti. Non spontaneamente, per lo meno.
E qui entra in gioco Trump e la sua strategia di farglielo fare con la coercizione.