La riforma trumpiana del fisco ha ridotto l’aliquota sulle imprese dal 35 per cento al 20. Il rischio è che le aziende israeliane, attirate dai vantaggi sulle tasse, possano decidere di trasferire la sede negli Stati Uniti.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu cerca di frenare la possibile fuga di capitali, sostenendo che Israele deve seguire gli USA in tema di fisco. Attualmente l’aliquota sulle imprese è pari al 24 per cento, ma dovrebbe scendere al 23 nel mese di gennaio.
Occorre, inoltre, considerare che il Governo già concede ulteriori incentivi fiscali a numerose imprese. Ad esempio, gli esportatori con sede in Israele versano al fisco il 16 per cento, che si abbassa al 7,5 se l’attività è localizzata nelle aree periferiche del Paese. Invece, le multinazionali considerate “strategiche”, come Intel, godono di una riduzione al 5 per cento.
Le imprese tech possono ottenere ulteriori benefici se registrano la proprietà intellettuale in Israele. E con la proposta di "Innovation Box", l'aliquota scende al 6 per cento per le aziende con entrate annue superiori a 2,5 miliardi di dollari e quella sui dividendi crolla al 4 per cento.
Un sistema fiscale ancora più leggero avrebbe il pregio di contenere il declino della competitività del Paese, come certificato anche dalla Banca Mondiale, che ha retrocesso Israele al 54° posto nel 2017. Ma nel 2009 era al 29°.