Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, si era detto “preoccupato per il caos che questo coronavirus potrebbe generare in Paesi con sistemi sanitari deboli”, come l’Africa. Nel continente - dove vivono 1,2 miliardi di persone - è al momento scarsa, secondo l’Oms, la capacità di identificare il virus. Fragili sistemi di sanità pubblica e stretti legami con la Cina rendono l’Africa vulnerabile alla diffusione del Covid-19, a tal punto da correre il rischio di diventare la patria delle catene di trasmissione del coronavirus e scatenare la temuta pandemia (al momento su circa 200 paesi al mondo il virus è stato rilevato in 60).
E si consideri che il numero di immigrati cinesi in Africa è aumentato di sette volte in meno di due decenni e che la Cina è divenuta il principale partner commerciale dell’Africa: per il 2018 il volume totale dell’interscambio è stato pari a 204,19 miliardi di dollari, con un aumento su base annua del 19,7%. Secondo McKinsey, oltre 10 mila aziende cinesi operano attualmente nel continente africano.
All’inizio della crisi, gli ospedali africani (ad eccezione di due strutture in Senegal e Sudafrica) non avevano laboratori in grado di identificare il virus, ma l’Oms sta cercando di correre ai ripari dotando il maggior numero di paesi possibile degli strumenti necessari per eseguire i test e ha stilato una lista di 13 Stati a maggior rischio: Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia.
Ma il punto è un altro. I problemi per l’Africa non sono certo iniziati (o rischiano di cominciare) con il Coronavirus. Il continente deve infatti affrontare altre profonde sfide sanitarie che causano la perdita di vite su una scala ben più ampia. Nel 2018 sono stati segnalati in 36 Paesi africani 96 nuovi focolai di malattie infettive, tra cui colera, febbre gialla, morbillo ed Ebola. Inoltre, nel 2018, circa 470 mila persone nella sola Africa sub-sahariana sono morte per cause legate all’Aids.
A ciò si aggiunga la fragilità economica - al punto che alcuni Paesi hanno dichiarato l’impossibilità a organizzare voli speciali per far rientrare i loro cittadini bloccati in Cina. Eppure molti economisti si fregano le mani per le cifre mostrate dalla crescita economica del continente. Ma non si accorgono che la ricchezza aumenta, sì, ma va perlopiù nelle mani di una quarantina di presidenti, con cui spesso anche i paesi europei fanno affari.
Il che ci riporta alla Cina. La salvezza per il continente africano potrebbe allora essere proprio il suo potenziale ‘untore’. Se è vero che l’Africa dipende economicamente da Pechino è anche vero il contrario. La Cina non ha soltanto investito in Africa, ma passa da lì anche la strategia politica del Dragone dei prossimi decenni.