Il salmone atlantico scozzese è esportato in oltre 50 Paesi e vede l’Italia tra i primi dieci paesi importatori (con più di 878 tonnellate nel 2019). Il problema sono le condizioni degli allevamenti: milioni di pesci intrappolati in gabbie sottomarine, deformità e infestazioni di parassiti. È l’allarme lanciato da una video inchiesta sugli allevamenti intensivi di salmone in Scozia, terzo produttore mondiale di salmone d’allevamento, dall’organizzazione internazionale ‘Compassion in World Farming’ e rilanciato da una rete globale di Ong in numerosi paesi.
Le immagini girate da droni e le riprese subacquee in sei aziende ittiche, tra cui la Scottish Sea Farms, Mowi Scotland, Scottish Salmon Company, Grieg Seafood, Cooke Aquaculture, sono eloquenti. I salmoni, che in natura sono straordinari animali migratori, negli allevamenti scozzesi sono privati della possibilità di nuotare liberamente, mangiati letteralmente vivi dai pidocchi di mare, con deformità, alcuni con occhi mancanti, con ferite in cui crescono alghe. A tal punto che la mortalità può raggiungere il 25% prima della macellazione.
I rifiuti organici e chimici prodotti dagli allevamenti intensivi di salmoni scozzesi stanno inoltre cambiando la composizione chimica dei sedimenti, e uccidono la vita marina sul fondo del mare.
Infine, l’uso sistematico eccessivo di antibiotici, che permettono ai pesci di sopravvivere di più in condizioni di sporcizia e sovraffollamento, costituisce un grave rischio per la salute pubblica. Sono 1.011,3 kg gli antibiotici che sono stati usati dal settore dell’allevamento di salmone in Scozia nel 2018. Gli antibiotici possono finire nell’ambiente, cambiare la composizione delle comunità microbiche e aumentare il numero di batteri antibiotico resistenti.