Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, si è detto soddisfatto: l’inflazione è diminuita. Ha poi lasciato intendere che difficilmente la Banca centrale statunitense aumenterà ancora i tassi di interesse, a meno che non si manifesti chiaramente la possibilità che un’economia più forte metta a rischio questi progressi. “Visti rischi e incertezze, procederemo con cautela”, ha detto Powell, parlando all’Economic Club di New York.
“I dati recenti hanno mostrato progressi verso entrambi” gli obiettivi della Fed, di un livello dei prezzi al consumo stabile e un forte mercato del lavoro. Powell ha però avvertito che l’inflazione “è ancora troppo alta e che pochi mesi di dati positivi sono solo l’inizio per essere fiduciosi verso un ritorno dell’inflazione verso l’obiettivo” del 2 per cento.
A settembre, i prezzi al consumo sono attesi in rialzo del 3,5 per cento rispetto a un anno prima, con il dato ‘core’ al 3,7 per cento. Powell ha poi aggiunto che una crescita troppo forte “potrebbe mettere a rischio i progressi e rendere necessaria un’ulteriore stretta della politica monetaria”.
Il punto è: gli Stati Uniti riusciranno davvero a riportare l’inflazione attorno al 2 per cento? Se sì, a quale prezzo (si perdoni il gioco di parole)? Oppure le banche centrali, tra cui Fed e Bce, hanno ormai accettato l’idea che l’inflazione di equilibrio debba essere alzata al 3 per cento?