Nel silenzio generale, come conviene nel mondo solitamente ovattato delle valute, molto meno oscillante dei mercati azionari, qualcosa di importante sta avvenendo: un lento moto di allontanamento dal dollaro. E di sostituzione. Nulla di esplicito, nulla di ufficiale, visto che ancora il dollaro è la divisa utilizzata nel 70% delle transazioni commerciali mondiali, ma il fenomeno è in corso.
Diversi i motivi che concorrono a una crescente sfiducia verso il totem del biglietto verde. Il primo è strutturale: l'alto debito sovrano degli Usa. Una colossale zavorra che fa temere un crash della divisa statunitense, evento probabile secondo alcuni economisti, già nella prossima decade.
C'è, poi, un altro fattore di fondo: gli Usa sono al centro di quasi tutte le tensioni internazionali e alcune capitali ne “soffrono” particolarmente. L'ultima è Ankara. La Turchia, sotto pressione da Washington per il suo continuo flirtare con Mosca (l'ultimo ammiccamento, mal visto alla Casa Bianca, ha prodotto un accordo su un sistema di difesa aereo di produzione russa) ha da poco disposto il ritiro di 220 tonnellate di oro depositate presso la Federal Reserve.
Una mossa di enorme significato e per di più non isolata. Nel 2012 due importanti Stati europei disposero il ritiro delle loro riserve auree presso la Fed: la Germania (300 tonnellate) e i Paesi Bassi (100). E lo smottamento verso il metallo giallo è destinato a crescere secondo gli analisti.
Gli Usa ci mettono del loro: isolando l'Iran e impedendogli l'uso del dollaro come moneta transattiva hanno di fatto spinto l'India a usare le rupie e in scia si stanno mettendo anche Russia e Turchia, le quali tra l'altro così aggireranno le sanzioni a Teheran. Secondo alcune stime, il dollaro non sarà più la moneta di riferimento nel mondo a partire dal 2030, ma diventerà una delle componenti di un sistema tripartito: l'euro, una moneta asiatica (probabilmente lo yuan) e, appunto il dollaro.